Quando Bill Clinton salì alla Casa Bianca, la Guerra Fredda era ormai cosa del passato. Ma dalle macerie del blocco sovietico emergevano una serie di stati devastati da quasi un secolo di totalitarismi e di chiusura economica. L'America rimaneva l'unica superpotenza mondiale che, secondo Clinton, aveva il dovere di promuovere e difendere la stabilità politica e economica anche nei paesi più disparati. Il primo impegno internazionale di Clinton fu la missione Restore Hope in Somalia, lanciata poco prima della sua elezione dal suo predecessore George W. H. Bush.

Nonostante il dispiegamento di un cospicuo contingente internazionale, la guerra tra le diverse fazioni somale non si fermò. In risposta alla terribile battaglia di Mogadiscio, in cui persero la vita 19 militari statunitensi, Clinton decise di ritirare le truppe dalla Somalia. La missione lasciò il paese africano nell'ottobre del 1993, costringendo anche molte ONG ad abbandonare la popolazione in balia della devastante guerra civile.

Dopo nemmeno un anno, nell'aprile del 1994 in Ruanda si consumò il più grave genocidio in tutta la storia africana. In poco più di un mese furono sterminate circa un milione di persone, appartenenti all'etnia Tutsi. La risposta della comunità internazionale fu lenta e incapace di contenere la violenza tribale. Nel 1998, durante un viaggio in Africa, Clinton disse che la comunità internazionale (quindi anche gli Stati Uniti) era stata responsabile del massacro.

Il maggiore impegno di Clinton, però, fu quello di risolvere il conflitto israelo-plaestinese. La diplomazia americana si mosse subito dopo l'elezione del nuovo presidente, cercando di mediare tra le posizioni dei due paesi Medio Orientali, in conflitto dalla secondo dopoguerra. Il 13 settembre 1993 a Oslo in Svezia, sotto l'egida di Clinton, furono ratificati una serie di accordi tra il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e il leader dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, Yasser Arafat, in cui l'Autorità Palestinese otteneva il controllo di parte della Cisgiordania e della striscia di Gaza, in cambio di uno stop alla intifada (la guerriglia palestinese che a partire dagli anni '70 minacciava gli abitanti dei territori israeliani).

Nel 1994, Clinton raggiunse un altro storico traguardo. La Giordania di re Hussein fu, dopo l'Egitto, il secondo paese arabo a riconoscere l'esistenza dello stato di Israele e cessare le ostilità contro lo stato ebreo. Con l'assassinio di Rabin, il 4 novembre 1995, il processo di pace subì una brusca interruzione. Sebbene nel 1998 il nuovo primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu avesse concesso all'OLP altri territori della Cisgiordania, e il suo successore, Ehud Barak, avesse ripreso la strada del processo di pace, il conflitto tra Israele e Palestina continuò a rimanere insoluto. Clinton continuò, senza successo, per tutti gli anni del suo secondo mandato a raggiungere una pace duratura tra i due paesi.