Il 20 marzo 2003, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna cominciarono a bombardare l'Iraq di Saddam Hussein, accusato di possedere le famigerate Armi di Distruzione di Massa (spesso definite anche armi non convenzionali, come le testare atomiche e le armi batteriologice, capaci di uccidere una grande quantità di esseri viventi) e di finanziare il terrorismo internazionale di matrice islamica.

A partire dalla Prima Guerra del Golfo, gli Stati Uniti avevano dichiarato l'Iraq "stato canaglia", il cui regime politico costituiva una minaccia per l'America e per la pace mondiale. E già un anno prima dell'invasione erano cominciati i preparativi per spodestare il Rais. L'11 ottobre 2002, infatti, il Congresso votò l'autorizzazione all'intervento militare per "difendere la sicurezza degli USA contro la continua minaccia posta dall'Iraq; e per attuare tutte le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU a questo riguardo". Nei mesi successivi, infatti, Stati Uniti cominciarono a incrementare la presenza militare in Kuwait.

Tra il 2002 e il 2003, l'impegno maggiore dell'amministrazione Bush e del primo ministro britannico, Tony Blair, fu convincere la Comunità Internazionale che Saddam costituisse un serio pericolo per la pace mondiale. Il braccio di ferro con il Consiglio di Sicurezza ONU durò per più di un anno, da cui l'America decise di svincolarsi. L'ultimo tentativo di convincere le Nazioni Unite fu del Segretario di Stato, Colin Powell. Il 5 febbraio, Powell portò davanti al Consiglio di Sicurezza una dettagliata documentazione, con cui dimostrare la colpevolezza del regime di Saddam:

"Sappiamo che Saddam Hussein è determinato a mantenere le sue armi di distruzione di massa; e che è determinato a produrne di più. […] Lasciare Saddam Hussein in possesso di armi di distruzione di massa per altri pochi mesi o anni non è un opzione, non in un mondo post 11 settembre" ("We know that Saddam Hussein is determined to keep his weapons of mass destruction; he's determined to make more. […] Leaving Saddam Hussein in possession of weapons of mass destruction for a few more months or years is not an option, not in a post-September 11 world.")

Senza l'approvazione dell'ONU (in particolare con i voti contrari di Francia, Germania, Cina) il governo americano e britannico (sostenuti soltanto da Spagna e Bulgaria) stabilirono di invadere comunque il paese, decisione da molti ritenuta opinabile nell'ambito del diritto internazionale. Il 15 febbraio 2003, in 800 città mondiali ci fu la più imponente manifestazione pacifista mai organizzata, alla quale presero parte più di 10 milioni di persone. Nonostante l'autorevole New York Times avesse definito l'opinione pubblica l'unica "superpotenza" mondiale in grado di contrastare Washington, il 22 marzo iniziarono i bombardamenti dell'Iraq.

In un discorso radiofonico Bush annunciò l'inizio delle operazioni militari: "La nostra missione è chiara, disarmare l'Iraq dalle armi di distruzione di massa, porre fine al sostegno di Saddam Hussein al terrorismo, e liberare il popolo iracheno." ("our mission is clear, to disarm Iraq of weapons of mass destruction, to end Saddam Hussein's support for terrorism, and to free the Iraqi people.")

La presa di Baghdad fu piuttosto rapida. La Coalizione, composta da 49 paesi tra cu la Spagna dell'allora primo ministro Aznar, la Polonia, il Giappone, il Portogallo e l'Italia, coadiuvate da un gruppo di militari curdi, riuscirono a mettere ko il regime in pochissimo tempo. In poco più di due settimane i 260.000 uomini inviati da Washington entrarono in Baghdad, costringendo alla fuga il Rais e i suoi omini. Le milizie irachene (400.000 uomini di cui 60.000 corpi speciali e 650.000 riservisti) erano male armate (a causa dell'embargo) e ancor meno motivate. Il 9 aprile gli americani entrarono a Baghdad; il giorno dopo, contemporaneamente al famoso abbattimento della statua di Saddam, i curdi entrarono a Kirk, ed il 15 aprile cadde anche Tikrit, la città natale di Saddam.

La missione sembrava ormai compiuta. Durante un discorso a bordo della portaerei Abraham Lincoln - che aveva partecipato alle operazioni in Iraq e stava rientrando presso le basi americane - il 1° maggio 2003, il presidente Bush aveva alle spalle uno striscione che recitava proprio Mission Accomplished ("Missione Compiuta"). Ma l'ottimismo dei primi tempi fu subito rimpiazzato da un realismo necessario che mostrava un paese violento, in balia ad ogni forma di violenza (dai saccheggi dei musei agli attacchi alle truppe della coalizione).