A partire dal 9 luglio 2011 i confini geografici dell'Africa sono cambiati per l'ennesima volta. Dopo vent'anni di guerra civile, infatti, il Sudan del Sud ha ottenuto l'indipendenza dal Nord. Nel gennaio 2011, con un referendum che ha coinvolto anche i residenti all'estero, il 99 percento dei sudanesi del Sud ha espresso la volontà di dividere il paese.

La storia del Sudan, come quella di molti paesi africani, è la storia di un'ex colonia britannica, i cui confini furono disegnati a tavolino dopo il secondo confitto mondiale. Il paese, il più vasto di tutto il continente, infatti è stato per mezzo secolo il mero "contenitore" di numerose tribù costrette a vivere fianco a fianco per volontà degli ex-colonizzatori.

Le differenze più significative, però, risiedono proprio nella composizione etnico e religiosa delle popolazioni del Nord e del Sud. Il primo, infatti, è a prevalenza arabo-musulmana (etnicamente vicino ai paesi nord-africani), il Sud, invece, è a maggioranza cristiano-animista (più vicini alle etnie sub-shariane). La convivenza delle diverse etnie sudanesi è sempre stata turbolenta, tanto che le prime rivolte nel sud scoppiarono ancor prima che il paese ottenesse l'indipendenza dalla Gran Bretagna (1957). Le tensioni sono sfociate in una vera e propria guerra civile verso la fine degli anni '80, quando - con l'ennesimo colpo di stato - è salito al potere Omar al-Bashir, leader del National Islamic Front, gruppo militare islamico.

In breve tempo il regime di al-Bashir impose in tutto il paese la Sharia (la legge islamica) e represso nel sangue le richieste di indipendenza del Sud. All'inizio del nuovo millennio, contro il regime di Khartum è insorta anche la regione del Darfur, dove - fino al 2010 - hanno perso la vita più di 200.000 persone e 2 milioni sono stati costretti ad abbandonare i propri villaggi (queste le stime ufficiali delle Nazioni Unite).

I primi accordi di pace tra cattolici e musulmani sono cominciati nel 2005 a Nairobi, con il trattato firmato da al-Bashir e il capo del Sudan People's Liberation Army (l'esercito dei ribelli del sud), John Garang. In base agli accordi le due fazioni avrebbero dovuto formare un governo coalizione nazionale. Nemmeno un mese dopo, però, John Garang ha perso la vita in un incidente.

Nel luglio 2008, il Tribunale Internazionale dell'Aja ha accusato al-Bashir di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra nel Darfur. Un anno dopo è stato emesso un mandato d'arresto per al-Bashir, ma lo stesso tribunale ha stabilito che non vi erano prove sufficienti per perseguirlo per genocidio. Il processo di pace ha subito successivi stop, ma grazie alle pressioni internazionali (che portarono all'impiego di un contingente militare sotto il comando dell'Unione Africana) e all'impegno di numerosissime organizzazioni non governative, le trattative si sono concluse nel 2009 per arrivare al referendum dello scorso gennaio.

In questo senso la nascita del nuovo stato può rappresentare una soluzione - quanto meno tardiva - a quasi un secolo di conflitti, anche se sono ancora tante le incognite che gravano su entrambi gli stati. Come spesso accade, le guerre a sfondo etnico-religioso nascondo questioni ben più "concrete". Il Sud del Sudan, infatti, è una regione molto ricca, soprattutto di petrolio, così come lo è parte occidentale del Darfur (che appartiene ancora al governo di Khartum). La regione attrae moltissimi investimenti esteri (in particolar modo cinesi) e le zone di confine rischiano di portare ad una nuova escalation del conflitto. Come nel caso di Abyei, principale città del Kordofan del Sud, ricchissima di giacimenti e nota per la produzione di gomma arabica, dove pochi giorni prima della divisione sono scoppiati violenti scontri tra l'esercito di Khartum e il Sudan People's Liberation Army.

Perché se da un lato le sfide che attendono il governo di Juba (la capitale del Sud) ruotano attorno alla creazione di un nuovo paese (nuova moneta, nuovi passaporti e francobolli, nuova squadra di calcio e nuovo inno nazionale), il governo di Khartum, invece, dovrà tenere a freno le istanze di indipendenza che provengono dalle regioni confinanti con il Sud. Come la storia insegna, sappiamo che per sedare le rivolte Omar al-Bashir non utilizza metodi soft, tant'è vero che - secondo quanto riportato dalle Nazioni Unite - nel Kordofan il presidente sudanese ha di nuovo utilizzato l'aviazione per bombardare le zone di stanziamento dei ribelli. È ovvio che una situazione così complessa minacci la stabilità del neonato dove, secondo le stime delle nazioni unite, solo dall'inizio del 2011 sono morti 1.400 civili a causa di conflitti etnici. Anche nel Sudan del Sud, quindi, la prima sfida da vincere sarà trasformare una regione che per più di vent'anni ha visto solo guerra e violenza in un paese democratico.