Malgrado gli accordi di pace di Nairobi, in Sudan imperversa una nuova guerra civile. Nella regione ovest del Darfur dal 2004, l'ennesima rivolta contro il governo centrale continua a mietere migliaia di vittime.

Anche se al-Bashir, attuale capo della giunta militare che governa il paese, nega ogni coinvolgimento con lo sterminio, la comunità  internazionale è propensa a considerare quest'ultimo responsabile del genocidio di centinaia di migliaia di civili.

Per sedare la rivolta, infatti, Khartoum ha deciso di appoggiare gruppi armati per lo più appartenenti a tribù arabe nomadi, chiamati Janjaweed, che nel compiere la loro missione non hanno risparmiato nessuno, devastando bestiame e radendo al suolo interi villaggi. Si stima, infatti, che dal 2004 siano morte 300.000 persone e più di due milioni siano state costrette ad abbandonare il paese.

Dall'altra parte della barricata ci sono il Sudan People's Liberation Movement (SPLM) erede del SPLA, attualmente guidato da Minni Minawi che dal 2007 anno è stato sospeso da ogni attività  di governo e il Justice and Equality Movement (JEM) guidato dal musulmano Khalil Ibrahim, ex membro di governo e dissidente del Fronte Nazionale Islamico, in aperta opposizione all'autorità  di Al-Bashir.

Ma, come riporta la televisione britannica BBC, "si pensa siano coinvolti più di 12 gruppi di ribelli. Molti aspettano i colloqui di pace che si terranno in Libia, ma un importante leader, Abdul Wahid el-Nur, sta boicottando il dialogo fin quando non sarà  terminato il conflitto".

La situazione in Darfur è estremamente complessa. La rivolta, come purtroppo succede in molti paesi africani, affonda le proprie radici in conflitti etnici e tribali antichissimi. I ribelli, infatti, legittimano la loro azione in base alle ingiustizie subite dagli abitanti delle regioni più periferiche del paese, la maggior parte di loro non-arabi.

Ma in ballo sembra esserci molto più che questioni etniche o religiose. In effetti, se da un lato lo sviluppo del paese è sempre stato sbilanciato in favore delle zone settentrionali, adiacenti al bacino del Nilo, quelle che un tempo videro fiorire la civiltà  nubica, dall'altro, da circa un decennio nel Sud sono stati trovati importanti giacimenti di petrolio, tali da fare del paese il terzo maggiore produttore del continente.

A partire dall'aprile 2005 la ABCO (società  sudanese per lo sfruttamento del petrolio, controllata per il 37 dalla compagnia svizzera Clivenden) cominciò a trivellare proprio nella regione del Darfur. La presenza di giacimenti petroliferi ha complicato ulteriormente lo scenario. Nel 2005, Ken Bacon presidente di Refugees International, gruppo di pressione statunitense, in un'intervista all'agenzia di stampa Reuters, dichiarò: "Si sospetta che la presa di questi territori continui in modo che possano essere controllati dal governo di Khartoum".

La presenza di petrolio nella regione non poteva non avere ripercussioni internazionali. Molti sono gli interessi della Cina, da circa un decennio il maggiore investitore nel petrolio sudanese, nonché maggiore esportatore di armi dirette a Khartoum. L'esportazione cinese verso il Sudan, infatti, è di circa un quarto delle importazioni totali della nazione africana, mentre il 70% delle esportazioni sudanesi sono destinate alla Cina.