Alla fine del secondo conflitto mondiale, Europa e Giappone erano in ginocchio, mentre Stati Uniti e Unione Sovietica risultarono come le uniche potenze vincitrici a non aver subito perdite significative durante la guerra. Del resto, la fine della seconda guerra mondiale aveva stravolto gli equilibri mondiali, segnando la nascita di una nuova era, in cui le due superpotenze mondiali si sarebbero contese la supremazia sullo scacchiere internazionale.

A partire dagli anni ’50 fino alla distensione degli anni ’80, il mondo visse nella costante paura di un imminente terzo conflitto mondiale. I trent’anni di guerra fredda furono caratterizzati dalla costante tensione tra nazioni comuniste e capitaliste. Al cuore del conflitto, infatti, c’erano due ideali (e conseguenti sistemi economici e politici) contrapposti.

Da un lato si poneva il socialismo reale, sistema economico che rifiutava ogni forma di proprietà privata, in cui il potere era accentrato nelle mani dello stato e di un capillare apparato burocratico, capace di vigilare anche sulla vita privata dei cittadini. Al blocco comunista appartenevano, oltre all'URSS, i paesi firmatari del patto di Varsavia (1955) e cioè Cecoslovacchia, Germania Est, Polonia, Romania, Bulgaria e Ungheria.

Dall’altro lato c’era il sistema capitalistico che, come quello americano, era fondato proprio sulla proprietà privata e sul libero mercato. Nel 1949 a Washington, gli Stati Uniti e i suoi alleati fondarono la NATO (North Atlantic Treaty Organization), l'organizzazione militare internazionale per la collaborazione nella difesa, proprio per fronteggiare una possibile avanzata comunista.

Per gli Stati Uniti, dalla fine del conflitto mondiale cominciò un periodo di grande prosperità che avrebbe trasformato il paese nella superpotenza che tutti noi oggi conosciamo. Ma gli anni della guerra fredda furono caratterizzati dalla cosiddetta corsa agli armamenti. Dopo la furia distruttiva delle deflagrazioni di Hiroshima e Nagasaki, in tutto il pianeta si diffuse la paura di un’imminente guerra atomica.

Nel 1953 fu eletto presidente Dwight D. Eisenhower la cui politica era incentrata sulla lotta al Comunismo, sia sul fronte interno che su quello estero. Dall’altra parte del globo, alla morte di Stalin, alla guida dell'Unione Sovietica fu nominato Nikita Khrushchev. Gli anni di Eisenhower furono caratterizzati da un incremento nello sviluppo atomico per fronteggiare la potenza russa. Dal 1953 al 1961 le testate atomiche passarono da 1.000 a 18.000 e ogni giorno negli Stati Uniti veniva prodotta una nuova arma nucleare. In quegli anni furono costruiti i primi missili balistici intercontinentali (ICBM, acronimo dell'espressione inglese Intercontinental Ballistic Missile) e la bomba a idrogeno.

Dopo la seconda guerra mondiale, Washington intensificò le attività della Commissione per attività anti-americane (House on Un-American Activities Committee, HUAC). Simbolo della cosiddetta caccia alle "streghe" del comunismo divenne Joseph McCarthy, senatore Repubblicano del Wisconsin, che diresse la commissione dal 1950 al 1954. Ancor prima di McCarty la commissione prese di mira soprattutto Hollywood, dove lavoravano molti artisti europei costretti a emigrare negli States dopo l'avvento del nazismo. Tra i membri della HUAC mosse i primi passi il deputato della California, Richard Nixon, futuro presidente USA. Una delle più famose celebrità accusate di attività anti-americane fu l’attore e regista britannico Charlie Chaplin, al quale fu cancellato il visto di rientro, quando quest’ultimo lasciò gli USA per un soggiorno in Europa nel 1952.

Particolare clamore suscitò all’epoca il cosiddetto gruppo degli Hollywood Ten, ai quali appartenevano il regista Edward Dmytryk (futuro collaborazionista) e 9 sceneggiatori, imprigionati solo per essersi rifiutati di collaborare con la Commissione. In seguito ad una crescente impopolarità di McCarthy, dovuta anche al programma della CBC See It Now, il 2 dicembre 1954, il Senato degli Stati Uniti, ordinò a McCarthy con 64 voti favorevoli contro 22 ad interrompere ogni attività all’interno della HUAC.

Il 20 gennaio 1961 il candidato democratico John Fitzgerald Kennedy vinse le elezioni presidenziali. Nato il 29 maggio 1927, Kennedy fu il più giovane presidente degli Stati Uniti, ma anche il primo inquilino cattolico della Casa Bianca. Sullo scacchiere internazionale la breve presidenza di Kennedy conobbe momenti di grande tensione come il fallito tentativo di spodestare Fidel Castro e la conseguente crisi missilistica cubana. Nel 1959 i giovani rivoluzionari Ernesto "Che" Guevara e Fidel Castro conquistarono l’Avana, dopo aver spodestato il regime filoamericano di Batista. Nel 1960, Castro chiese e ottenne l’aiuto sia economico che militare dei paesi comunisti. Ben presto Cuba divenne presto la spina nel fianco degli Stati Uniti.

Kennedy decise di portare a termine un'operazione già pianificata dal suo predecessore, Eisenhower, per spodestare Castro: gli Stati Uniti avrebbero organizzato militarmente e inviato sull'isola un gruppo di esuli cubani contrari al regime comunista. Il piano d'attacco prese il nome di Operazione Zapata. Ma nel passaggio da Eisenhower a Kennedy, buona parte del piano iniziale fu stravolto, complice anche una serie di informazioni scorrette giunte a Washington. Quello che doveva essere la cacciata di Castro da Cuba si trasformò nella disastrosa invasione della Baia dei Porci in cui gli esuli non potettero nulla contro gli armamenti sovietici di cui disponeva Castro.

Solo un anno dopo, il 15 ottobre 1962, si aprì una nuova crisi tra Cuba e Stati Uniti. In seguito alle fotografie scattate dagli aerei spia americani, Washington venne a conoscenza di basi missilistiche costruite sull’isola. La crisi si chiuse dopo solo 15 giorni, con lo smantellamento delle basi cubane, grazie ad un trattato di non aggressione siglato tra Kennedy e Khrushchev. Nell'ambito della lotta al comunismo, Kennedy fu il primo ad inviare truppe americane in Vietnam.

La guerra in Vietnam fu la più rovinosa combattuta dagli Stai uniti dal dopoguerra. Secondo le stime ufficiali, nel lontano paese asiatico persero la vita 58,226 soldati americani (compresi quelli dichiarati Missing in Action, cioè dispersi o catturati dall’esercito nemico) e 153.303 vennero feriti. In passato, il Vietnam faceva parte dell’impero francese, ed era conosciuto come la colonia d’Indocina.

Dopo nove anni di guerra civile, i ribelli Vietminh, guidati da Ho Chi Minh e aiutati dalla vicina Repubblica Popolare Cinese e dall’URSS, ottennero l’indipendenza del Vietnam che fu diviso in due lungo il 17° parallelo. Nel Vietnam del Nord venne riconosciuto lo stato socialista guidato da Ho Chi Minh (con capitale Hanoi), mentre il Vietnam del Sud fu affidato al filoccidentale cattolico Ngo Dinh Diem (con capitale Saigon). Ma la situazione nella regione rimaneva instabile. Il Vietnam del Sud era guidato da un cattolico, mentre la popolazione era a maggioranza buddista. Inoltre, i ribelli del Fronte Nazionale per la Liberazione del Sud Vietnam, conosciuti anche come VietCong, sostenuti dalla Corea del Nord e dall'URSS facevano sempre più proseliti. Prima della sua morte, Kennedy, preoccupato dall’avanzata sovietica, inviò in Asia le prime truppe per difendere il governo del sud da un eventuale attacco.

Dopo l’assassinio del giovane presidente, il vice Lyndon Johnson, a seguito della crescente tensione, aumentò il numero di soldati nella regione. Nel 1967, 429.000 militari statunitensi erano schierati in Vietnam. I primi bombardamenti iniziarono 31 luglio 1964, e quello che doveva essere un conflitto breve, si trasformò in un incubo lungo 11 anni. Nel 1968, fu eletto presidente degli Stati Uniti il repubblicano Richard Nixon con la promessa di porre fine il prima possibile alla guerra. La "ricetta Nixon" consisteva nel rafforzare gradualmente l'esercito sudvietnamita, di modo che potesse combattere la guerra da solo. Ma le notizie che giungevano dal Vietnam andavano in direzione opposta. Nonostante lo sforzo bellico, i militari statunitensi potevano poco contro i ribelli nascosti nella giungla tropicale.

Col passare degli anni crebbe l'opposizione interna alla guerra, spingendo il governo di Washington a diminuire la presenza militare nella regione. Lo scandalo Watergate fece precipitare la popolarità di Nixon che si vide costretto, tra il 1971 e il 1972, ad ordinare il ritiro di quasi tutte le truppe dal Vietnam. Verso la fine del 1972, la presenza militare statunitense contava meno di 27.000 unità e il 29 marzo 1973 fu ordinato a tutti i soldati americani di abbandonare il paese asiatico.

La guerra era ormai persa e a breve (l’8 agosto 1973) Nixon si sarebbe dimesso. Subito dopo l’uscita di scena delle truppe statunitensi, l’esercito nordvietnamita attaccò il sud, conquistò Saigon e unificò i due stati per dare vita il 2 luglio 1976 alla Repubblica Socialista del Vietnam. Ancora tutt’ora il Vietnam è un repubblica socialista. Il numero di morti complessivi della guerra in Vietnam risulta piuttosto difficile da stabilire. Secondo quanto reso pubblico il 3 aprile 1995 dal governo vietnamita, nella guerra vennero uccisi circa 5 milioni di persone, di cui un milione di militari e 4 milioni di civili.

I primi segnali di distensione tra Stati uniti e URSS cominciarono all’inizio del 1970, quando Nixon visitò la Repubblica Popolare Cinese, all’epoca ancora guidata da Mao Zedong, il leader della rivoluzione del 1949. Durante il viaggio diplomatico, organizzato dal Segretario di Stato Henry Kissinger, gli Stati Uniti riconobbero la sovranità cinese su Taiwan, anche se l’isola manteneva uno statuto speciale che le permetteva di commerciare con i paesi esteri. In cambio, la Repubblica Popolare Cinese chiese l’eliminazione dalla lista ONU dei paesi coloniali di Hong Kong e Macao (britannica la prima e portoghese la seconda). Altro segnale forte di distensione fu il primo trattato di non proliferazione militare, Anti-Ballistic Missile Treaty (Trattato Anti Missili Balistici) firmato il 26 maggio 1972 a Mosca da Nixon e dal leader sovietico Leonid Brezhnev. Al trattato di Mosca seguirono altri importanti accordi di non proliferazioni noti come SALT, Strategic Arms Limitation Treaties (Trattato per la limitazione degli armamenti strategici).

Il 18 giugno 1979, a Vienna, fu siglato SALT II, tra il nuovo presidente americano, Jimmy Carter, e Brezhnev. Dopo circa sette anni dalle prime trattative, gli Stati Uniti e l’URSS si impegnarono a diminuire la produzione di armi nucleari. Per approfondire vai all’articolo: La Guerra Fredda negli anni '70 1981-1985 il SDI e l'invasione di Grenada – Gli anni ’80 furono caratterizzati da una ripresa della Guerra Fredda, cominciata con l'invasione sovietica dell'Afghanistan. Il 20 gennaio 1981 fu eletto presidente degli Stati Uniti, il repubblicano Ronald Reagan. I primi anni della politica estera reaganiana furono caratterizzati da un incremento del 40% del budget destinato agli armamenti.

In particolare, il 23 marzo 1983, Reagan propose una nuova iniziativa di Difesa Strategica (Strategic Defense Initiative, SDI). Il SDI introdusse per la prima volta lo scudo spaziale, un sistema missilistico basato sui sistemi satellitari statunitensi; il nuovo piano di difesa USA prese il nome di Star Wars (Guerre Stellari). L’ultimo affondo al nemico rosso fu l'intervento statunitense nella piccola isola caraibica di Grenada, ex colonia britannica situata a sud di Cuba, dove nel 1983 aveva preso il potere il leader del partito marxsista-lieninista Bernard Coard. Gli Usa non potevano permettere la nascita di un nuovo stato comunista nel mar dei Carabi, pertanto, il presidente Reagan usò come pretesto la presenza sull’isola di circa 1.000 studenti americani all'Università di St. George's, e il 25 ottobre 1983 fece intervenire i Marines che in breve occuparono Grenada.

Nel 1983, in un famoso discorso, Ronald Reagan preannunciò la fine del comunismo, definendolo come "un altro triste, bizzarro capitolo della storia umana le cui ultime pagine si stanno scrivendo proprio ora". Le sue parole furono profetiche. Il giorno dopo la morte del leader sovietico Konstantin Ustinovich Chernenko, nel marzo 1985, alla guida del Partito Comunista fu nominato Mikhail Sergeyevich Gorbaciov, l'uomo che, per primo, avrebbe rivoluzionato l’URSS. Il nuovo leader aveva iniziato la sua carriera dopo la morte di Stalin, e quindi rappresentava l’ascesa al potere di una nuova classe politica, desiderosa di cambiare la società russa e porre fine agli anni di totalitarismo e assenza di libertà.

Come disse lo stesso Gorbaciov in un’intervista alla televisione americana CNN nel 1997: "Io fui la persona che non decise di aggrapparsi al potere, ma di riformarlo. La società aveva bisogno di riforme, ma avevamo perso almeno 15-20" D'altro canto, l’economia sovietica era sull’orlo del collasso. La situazione ereditata da Gorbaciov era grave: una crescita prossima allo zero, conseguenza della politica economica del Partito che per tutti gli anni di Guerra Fredda, aveva speso più del 25% del Prodotto Interno Lordo in armamenti, a discapito dei beni destinati alla popolazione. In riposta, la politica di Gorbaciov ruotò attorno a due punti fondamentali: glasnost (trasparenza), cioè una maggiore trasparenza nella vita pubblica russa, per anni segnata dal totalitarismo staliniano, e perestroika (letteralmente, ricostruzione) con cui si indicava il complesso di riforme economiche portate avanti a partire dal 1985.

Il primo summit tra Reagan e Gorbaciov si tenne a Ginevra in Svizzera nel novembre 1985. L’incontro segnò l’inizio del disarmo bilaterale. Un anno dopo, i due leader si incontrarono di nuovo in Islanda, a Reykjavik. Il meeting di Reykjavik segnò la riduzione del 50% dei missili balistici e il cosiddetto accordo zero option per l’Europa (cioè il ritiro incondizionato delle testate nucleari dislocate nel Vecchio Continente). Gli incontri tra Reagan e Gorbaciov a Washington, nel 1987, e a Mosca, un anno dopo, segnarono il completo disgelo tra le due superpotenze e la fine di un’epoca A partire dalla fine degli anni ’80, infatti, uno ad uno, i paesi del patto di Varsavia andarono affrancandosi definitivamente dall’influenza sovietica e abbandonarono le vecchie strutture comuniste.

E la stessa Unione Sovietica intraprese la strada che l’avrebbe portata verso il totale smantellamento dei Soviet e la nascita di una nuova nazione, la Russia.