Gli anni '80 in America furono segnati dalla presidenza del repubblicano Ronald Reagan eletto il 20 novembre 1980 contro l'ex presidente democratico Jimmy Carter. Ex attore di Hollywood, Reagan rappresentò per la maggioranza dell'elettorato una promessa di cambiamento e soprattutto di riscatto. Lo scandalo Watergate, la fine della guerra in Vietnam e la crisi economica degli anni '70 ancora pesavano sulla popolazione statunitense.

Negli anni dell'amministrazione Carter (1977-1981) , infatti, la crescita Usa era crollata dal 3,2% degli anni '60 al 1%, mentre l'economia interna viveva un momento di stagflazione (termine economico che indica l'insieme di stagnazione nella produzione e aumento dei prezzi al consumo). Elemento cruciale nella campagna presidenziale del 1981 fu la politica estera. L'America, infatti, era sotto shock per la sorte degli ostaggi rapiti in Iran. Dal 4 novembre 1979 al 20 gennaio 1981, studenti islamici vicini all'Ayatollah Khomeini tennero in ostaggio 52 membri del corpo diplomatico americano a Teheran

L'amministrazione Carter, nonostante gli sforzi diplomatici e la fallita azione militare Eagle Claw (in cui persero la vita 8 soldati statunitensi), riuscì a portare in salvo gli ostaggi soltanto dopo 444 giorni, proprio il giorno dell'elezione del nuovo presidente. La crisi con l'Iran di Khomeini irruppe nella campagna elettorale, in cui gli americani preferirono la promessa del repubblicano di mantenere il pugno duro con i nemici degli Stati Uniti (Peace through Strength, la pace attraverso al forza militare)

Come scrive il New York Times, la promessa elettorale di Reagan era quella di infondere "l'ottimismo di Franklin D. Roosevelt, la fiducia nell'America delle piccole città di Dwight D. Eisenhower e il vigore di John F. Kennedy". In effetti, nei primi anni del suo mandato, Reagan fu capace di rianimare la fiducia americana e soprattutto dare credibilità alla figura del presidente. Reagan aveva ereditato un tasso d'inflazione pari all'11,83% e la disoccupazione al 7,5%. L'economia era ai minimi storici dal secondo dopoguerra. La risposta del presidente fu drastica e rivoluzionaria. Partendo dalla teoria della Supply side (letteralmente, dalla parte dell'offerta, laddove per aumentare la crescita economica bisognava incoraggiare gli investimenti e quindi l'offerta), Reagan seguì la strada del liberismo.

Furono introdotte le più ampie riduzioni fiscali nella storia americana, favorendo soprattutto la classe imprenditoriale. Secondo le previsioni di Washington, un simile distribuzione economica avrebbe prodotto un effetto a cascata. Lo Stato si impegnava a favorire la classe più ricca del paese (quella imprenditoriale) capace di creare il benessere che, come una cascata, sarebbe giunto anche alle classi medie e, infine, anche a quelle più povere. In effetti, dopo un primo picco del tasso di disoccupazione (nel dicembre 1982 raggiunse il 10,8%, il più alto dagli anni della Grande Depressione), l'economia americana degli anni '80 conobbe uno momento di forte ripresa. La crescita annua raggiunse il 3,4% e furono creati 60 milioni di nuovi posti di lavoro.

Ma per fronteggiare il crollo della borsa del 1987, partito dai mercati asiatici, Reagan si vide costretto ad aumentare il debito pubblico, che passò da 700 miliardi a 3 bilioni di dollari. Quello stesso anno, fu nominati capo della Federal Riserve, la banca centrale americana, Alan Greespan che mantenne la carica fino al 2006. Il giudizio sulle politiche economiche di Reagan è ancora dibattuto. Gli economisti si dividono tra chi, come i premi Nobel per l'economia Milton Friedman e Robert A. Mundell, sostiene che dietro il boom economico statunitense degli anni '90 ci fosse proprio la “ricetta Reagan”, e altri, come l'altro premio Nobel Robert Solow, che considera Reagan responsabile dell'aumento delle tasse imposto dal suo successore, George H.W. Bush.

L'ormai famosa definizione "l'impero del male" usata per indicare l'Unione Sovietica, fu coniata l'8 giugno 1982, quando Reagan visitò il Parlamento Britannico. Nei primi anni della sua presidenza, infatti, Reagan aumentò la spesa militare e irrigidì le posizioni americane, nonostante i segnali di distensione dei primi anni '70. Dal 1981 al 1985 la il budget destinato alla difesa aumentò del 40%. Fu ripresa la produzione di bombardieri strategici, come il Rockwell B-1 Lancer, interrotta dall'amministrazione Carter e sviluppati nuovi missili balistici, come MX "Peacekeeper".

In particolare, il 23 marzo 1983, Reagan propose una nuova iniziativa di Difesa Strategica (Strategic Defense Initiative, SDI) introducendo un nuovo corso all'interno della politica militare americana. Per la prima volta, infatti, gli Stati Uniti si impegnavano a rafforzare le strutture difensive anziché quelle offensive, diversamente da quanto accadeva durante i primi anni di Guerra Fredda.

Tra le misure difensive si parlò per la prima volta di scudo spaziale, un sistema missilistico basato sui sistemi satellitari statunitensi, il nuovo piano di difesa USA prese il nome di Star Wars (Guerre Stellari). Dalla seconda metà degli anni ‘80 l'"asse del male" non era più il comunismo, ma l'ascesa al potere dei partiti islamici intregralisti. L'Unione Sovietica andavano sempre più sgretolandosi, e nel giro di pochi anni sarebbe crollato il muro di Berlino, l'ultimo simbolo della Guerra Fredda. Nel frattempo nei paesi islamici si diffondeva sempre più il panarabismo, mentre l'ascesa di leader religiosi come Khomeini, e l'inasprirsi del conflitto tra Israele e Palestina minacciavano sempre più la stabilità della regione Medio Orientale, ricca di petrolio.

Nel 1982 le truppe statunitensi si unirono al Contingente Internazionale per intervenire nella guerra civile che dal 1975 stava devastando il Libano. La difficile convivenza tra profughi palestinesi, arabi cristiani e infiltrati delle organizzazioni terroristiche fece crescere la tensione all'interno del paese. Al contempo, le vicine nazioni mediorientali (Siria, Israele, Iran e OLP palestinese) appoggiarono le varie fazioni religiose. In risposta, la Comunità Internazionale inviò un contingente militare per pacificare la zona. Il 23 ottobre 1983, un attacco terroristico distrusse la base di Beirut della Forza Multinazionale, uccidendo 241 militari statunitensi. Inizialmente Washington programmò di attaccare le caserma Sheik Abdullah nella città di Baalbek, nella quale, secondo informazioni segreta, le Guardie Rivoluzionarie Iraniane addestravano i ribelli Hezbollah (libanesi seguaci dell'Ayatollah Khomeini).

Il segretario di Stato, Caspar Weinberger, convinse Washington a non intervenire: non c'erano sufficienti prove del coinvolgimento iraniano nell'attentato e il rischio era un'escalation del conflitto. Pertanto, il 7 febbraio 1984, Reagan decise di ritirare le truppe americane. 1986 l'attacco di Tripoli – In nordafrica, sin dalla sua prese di potere, il leader libico Gheddafi era il nemico numero uno di Washington, per lo più reo di appoggiare il Settembre Nero palestinese e l'IRA irlandese. Le tensione nei rapporti tra Libia e USA si trasformò in una serie di bombardamenti da parte di quest'ultimi.

Dopo l'esplosione di una bomba in una discoteca di Berlino, in cui rimasero feriti 63 militari americani, da Washington partì l'ordine di bombardare Tripoli. Secondo le informazioni che giunsero a Reagan, il mandante dell'attentato era proprio il leader libico. Il 15 aprile 1986, fu lanciato un attacco missilistico diretto proprio ad eliminare Gheddafi. Il generale si salvò, ma nei bombardamenti perse la vita la sua figlia adottiva. L'ultimo affondo al nemico rosso fu l'intervento nella piccola isola caraibica di Grenada, ex colonia britannica situata a sud di Cuba, dove nel 1983 aveva preso il potere il leader del partito marxsista-lieninista Bernard Coard.

Gli Usa non potevano permettere la nascita di un nuovo stato comunista nel mar dei Carabi, pertanto. Il presidente Reagan usò come pretesto la presenza di circa 1.000 studenti americani all'Università di St. George's, e il 25 ottobre 1983 fece intervenire i Marines che in breve occuparono la piccola isola. L'invasione fu condannata dal Consiglio di Sicurezza ONU, con il solo voto contrario di Stati Uniti e Gran Bretagna.

Nel 1983, in un famoso discorso, Reagan preannunciò la fine del comunismo, definendolo come "un altro triste, bizzarro capitolo della storia umana le cui ultime pagine si stanno scrivendo proprio ora" ("communism is another sad, bizarre chapter in human history whose last pages even now are being written"). Le sue parole furono profetiche. Il giorno dopo la morte del leader sovietico Konstantin Ustinovich Chernenko, nel marzo 1985, alla guida del Partito Comunista sovietico fu nominato Mikhail Sergeyevich Gorbachev, l'uomo che, per primo, avrebbe rivoluzionato l'URSS. Relativamente giovane, Gorbachev divenne capo dell'Unione Sovietica all'età di 54 anni, apparteneva ad una nuova generazione che aveva iniziato a fare politica dopo la morte di Stalin, desiderosa di cambiare la società russa e porre fine agli anni di totalitarismo e assenza di libertà.

D'altro canto, l'economia sovietica era sull'orlo del collasso. La situazione ereditata da Gorbachev era grave: una crescita prossima allo zero e un drastico deprezzamento della moneta (dovuto soprattutto alla diminuzione del prezzo del petrolio, che costituiva il 60% delle esportazioni sovietiche). Inoltre, per tutti gli anni di Guerra Fredda, l'URSS aveva speso più del 25% del Prodotto Interno Lordo in armamenti, a discapito dei beni destinati alla popolazione. La politica di Gorbachev ruotava attorno a due punti fondamentali: glasnost (trasparenza), cioè una maggiore trasparenza nella vita pubblica russa, per anni segnata dal totalitarismo staliniano, e perestroika (letteralmente, ricostruzione) con cui si indicava il complesso di riforme economiche portate avanti a partire dal 1985.

Per l'amministrazione Reagan, il nuovo leader sovietico era un'assoluta novità e al tempo stesso la grande opportunità per dialogare con il nemico di sempre. Il primo summit USA-URSS si tenne a Ginevra in Svizzera nel novembre 1985. L'incontro segnò l'inizio del disarmo bilaterale. Un anno dopo, i due leader si incontrarono di nuovo in Islanda, a Reykjavik. Il meeting segnò la riduzione del 50% dei missili balistici e il cosiddetto accordo zero option per l'Europa (cioè il ritiro incondizionato delle testate nucleari dislocate nel Vecchio Continente). Nonostante gli accordi, però, la tensione tra i due blocchi rischiava di rimanere alta.

La guerra in Afghanistan e la situazione in Centro America ancora minacciavano il processo di distensione. L'annuncio da parte sovietica, fatto il 20 luglio 1987, di ritirare le truppe dall'Afghanistan e l'ammissione di responsabilità nello scandalo Iran-Contra, annunciata da Reagan il 4 marzo 1987, segnarono un definitivo passo in avanti verso la fine della Guerra Fredda. Gli incontri tra Reagan e Gorbachev a Washington, nel 1987, e a Mosca, un anno dopo, portarono al completo disgelo tra le due superpotenze e la fine di un'epoca

Di lì a poco sarebbe caduto il muro di Berlino, permettendo la riunificazione delle due Germanie, i paesi del trattato di Varsavia avrebbero conosciuto per la prima volta al democrazia e la stessa Unione Sovietica sarebbe crollata sotto il peso pressante di una trasformazione radicale che avrebbe portato alla deposizione dello stesso Gorbachev, ad opera del più liberale Boris Yeltsin. Reagan conquistò il suo secondo mandato nel 1984. La sua popolarità era all’apice. Nelle presidenziali, sconfisse l’ex vice presidente democratico Mondale.

Per il partito democratico fu la débâcle: eccetto il Minnesota e Washington, tutta l’America si era stretta attorno al presidente. Con la seconda elezione Reagan diventava il più anziano presidente degli Stati Uniti. Ma nel 1986, il cosiddetto scandalo Iran-Contra incrinò la popolarità del presidente. A partire dal gennaio 1986 alcuni membri della Amministrazione Reagan procurarono a Teheran importanti forniture militari, in quegli anni impegnato nella guerra contro l’Iraq del neo presidente Saddam Hussain. L’affare, scoperto dal magazine libanese Ash-Shiraa, mostrava un’intesa non solo diplomatica tra Washington e Teheran. D'altra parte del globo, in Nicaragua, i soldi della vendita illegale erano usati per finanziare i Contras, un gruppo di guerriglieri che si opponevano al presidente Sandinista (partito di stampo marxista) Daniel Ortega.

Fu istituita una speciale Commissione del Congresso, presieduta dal senatore Tower, che lavorò dal 25 novembre al 26 febbraio 1987, imputando al presidente e alla sua amministrazione ogni responsabilità. Il 4 marzo 1987, dallo Studio Ovale alla Casa Bianca, Reagan fece il suo primo discorso alla nazione in merito allo scandalo Iran-Contra, dopo 3 mesi di silenzio. Reagan ammise le sue colpe e quelle della sua amministrazione, sottolineando, però, l’accordo con Teheran nasceva dalla necessità di cooperare con le fazioni moderate del regime, per ottenere la liberazione di 6 ostaggi americani. Nel novembre 1986, appena scoperto lo scandalo, la popolarità del presidente era crollata dal 67% al 46%. Ma l’operato di Reagan, soprattutto il suo impegno internazionale, diedero al presidente un nuovo slancio e una ritrovata popolarità, tanto che nel gennaio del 1989, alla fine del suo secondo mandato, le preferenze raggiunsero di nuovo quota 64%, spianando la strada all’elezione del suo vice George Herbert Walker Bush.