Tra il 1986 e il 1987, il cosiddetto scandalo Iran-Contra incrinò la popolarità del presidente statunitense, Ronald Reagan. A partire dal gennaio 1986, infatti, alcuni membri della Amministrazione Reagan procurarono al governo di Teheran importanti forniture militari, in quegli anni impegnato nella guerra contro l’Iraq del neo presidente Saddam Hussain. L'affare fu scoperto dal magazine libanese Ash-Shiraa, il quale pubblicò, il 3 novembre 1986, una serie di documenti riguardanti il traffico clandestino d’armi.

L’intesa tra Washington e Teheran faceva parte di una serie di accordi con le fazioni più moderate del regime di Khomeini per ottenere la liberazione di 6 americani rapiti da un gruppo di Hezbollah. D’altra parte del globo, in Nicaragua, i soldi della vendita illegale erano usati per finanziare i Contras, un gruppo di guerriglieri che si opponevano al presidente Sandinista (partito di stampo marxista) Daniel Ortega. Finanziare i Contras era illegale. Dal 1982 con una serie di emendamenti (chiamati Boland, per il nome del suo promotore, il deputato democratico Edward Patrick Boland), il Congresso aveva vietato al governo ogni finanziamento al gruppo di guerriglieri e ogni interferenza nella politica in Nicaragua.

Alla denuncia del magazine libanese fecero eco i media americani e in breve lo scandalo travolse l’amministrazione Reagan che il 25 novembre annunciò la formazione di una speciale commissione per far luce sui fatti. Secondo quanto riportato in seguito dal New York Times, artefice del sostegno alle milizie Contras fu John Negroponte, fino al 2005 ambasciatore in Iraq e dal 1982 al 1985 ambasciatore in Honduras. Mentre sul fronte iraniano lo scandalo ruotò attorno al colonnello Oliver North, all’epoca membro del National Security Council (Consiglio di Sicurezza Nazionale).

La commissione del Congresso, presieduta dal senatore Tower, si concluse il 26 febbraio 1987. Secondo quanto riportato dal New York Times, la commissione stabilì che l’affare era stato "caratterizzato da una dilagante disonestà e segretezza" e che Reagan era responsabile per il comportamento deplorevole di una "cricca di fanatici". Il 4 marzo 1987, dallo Studio Ovale alla Casa Bianca, il presidente Reagan fece il suo primo discorso alla nazione in merito allo scandalo Iran-Contra, dopo 3 mesi di silenzio. Ammise le sue responsabilità e quelle della sua Amministrazione: "Per quanto possa essere deluso da alcuni che lavorano per me, sono sempre colui che deve rispondere alla popolazione americana di tali comportamenti" ("As disappointed as I may be in some who served me, I'm still the one who must answer to the American people for this behavior").

Le motivazioni del presidente ruotarono attorno al tentativo di Washington di ricucire i rapporti con Teheran, sostenendo le fazioni più moderate del regime di Khomeini. "Ciò che cominciò come apertura strategica all’Iran si deteriorò, nella sua implementazione, nella vendita di armi in cambio di ostaggi. Ciò va contro le mie stesse convinzioni, contro la politica dell’amministrazione e la strategia iniziale che avevamo in testa."

("What began as a strategic opening to Iran deteriorated, in its implementation, into trading arms for hostages. This runs counter to my own beliefs, to administration policy, and to the original strategy we had in mind."). Nel novembre 1986, appena scoperto lo scandalo, la popolarità del presidente era crollata dal 67% al 46%. Ma l’operato di Reagan, soprattutto il suo impegno internazionale, diedero al presidente un nuovo slancio e una ritrovata popolarità, tanto che nel gennaio del 1989, alla fine del suo secondo mandato, le preferenze raggiunsero di nuovo quota 64%, spianando la strada all’elezione del suo vice George Herbert Walker Bush.