Nel 1983, in un famoso discorso, Reagan preannunciò la fine del comunismo, definendolo come "un altro triste, bizzarro capitolo della storia umana le cui ultime pagine si stanno scrivendo proprio ora" ("communism is another sad, bizarre chapter in human history whose last pages even now are being written"). Le sue parole furono profetiche. Il giorno dopo la morte del leader sovietico Konstantin Ustinovich Chernenko, nel marzo 1985, alla guida del Partito Comunista sovietico fu nominato Mikhail Sergeyevich Gorbaciov, l'uomo che, per primo, avrebbe rivoluzionato l'URSS.

Relativamente giovane, Gorbaciov divenne capo dell'Unione Sovietica all'età di 54 anni e, a differenza di Leonid Brezhnev, in dialisi per tutti gli anni in cui era stato al potere e con un continuo bisogno di cure mediche, non solo godeva di ottima salute, ma apparteneva ad una nuova generazione. Il nuovo leader, infatti, aveva iniziato la sua carriera dopo la morte di Stalin, e quindi rappresentava l'ascesa al potere di una nuova classe politica, desiderosa di cambiare la società russa e porre fine agli anni di totalitarismo e assenza di libertà.

Come disse lo stesso Gorbaciov in un'intervista alla televisione americana CNN nel 1997: “Io fui la persona che non decise di aggrapparsi al potere, ma di riformarlo. La società aveva bisogno di riforme, ma avevamo perso almeno 15-20”. ("I was the person who decided not to try to drag the power on, but to reform it. The society needed reform, but we had lost about 15-20 years").

All'ascesa del nuovo leader l'economia sovietica era sull'orlo del collasso. La situazione ereditata da Gorbaciov era grave: una crescita prossima allo zero e un drastico deprezzamento della moneta (dovuto soprattutto alla diminuzione del prezzo del petrolio, che costituiva il 60% delle esportazioni sovietiche). Inoltre, per tutti gli anni di Guerra Fredda, l'URSS aveva speso più del 25% del Prodotto Interno Lordo in armamenti, a discapito dei beni destinati alla popolazione.

In contrasto con i suoi predecessori, la politica di Gorbaciov ruotava attorno a due punti fondamentali: glasnost (trasparenza), cioè una maggiore trasparenza nella vita pubblica russa, per anni segnata dal totalitarismo staliniano, e perestroika (letteralmente, ricostruzione) con cui si indicava il complesso di riforme economiche portate avanti a partire dal 1985. Per l'amministrazione Reagan, il nuovo leader sovietico era un'assoluta novità e al tempo stesso la grande opportunità per dialogare con il nemico di sempre.

Il primo summit tra Reagan e Gorbaciov si tenne a Ginevra in Svizzera nel novembre 1985. L'incontro segnò l'inizio del disarmo bilaterale. Un anno dopo, i due leader si incontrarono di nuovo in Islanda, a Reykjavik. Il meeting di Reykjavik segnò la riduzione del 50% dei missili balistici e il cosiddetto accordo Zero Option per l'Europa (cioè il ritiro incondizionato delle testate nucleari dislocate nel Vecchio Continente). Nonostante gli accordi, però, la tensione tra i due blocchi rischiava di rimanere alta. Il persistere della guerra in Afghanistan e la situazione in Centro America ancora minacciavano il processo di distensione.

L'annuncio da parte sovietica, fatto il 20 luglio 1987, di ritirare le truppe dall'Afghanistan e l'ammissione di responsabilità nello scandalo Iran-Contra, annunciata da Reagan il 4 marzo 1987, segnarono un definitivo passo in avanti verso la fine della Guerra Fredda. Gli incontri tra Reagan e Gorbaciov a Washington, nel 1987, e a Mosca, un anno dopo, rappresentarono il completo disgelo tra le due superpotenze e la fine di un'epoca.

1989 - l'anno del cambiamento – A partire dalla fine degli anni '80, uno ad uno, i paesi del patto di Varsavia andarono affrancandosi definitivamente dall'influenza sovietica e abbandonarono le vecchie strutture comuniste. Il processo di trasformazione portato avanti da Gorbaciov diede i suoi frutti, anche se non sempre senza strappi dolorosi. Il primo paese a capitolare, forte anche dell'appoggio cattolico in quanto patria dell'allora Papa Karol Wojtyla, fu la Polonia, dove già nel 1988, il leader di Solidarnosc (la prima organizzazione politica indipendente dall'URSS) Lech Walesa, futuro presidente polacco, proclamò la fine della dittatura comunista.

Ma fu il 1989 l'anno dei grandi cambiamenti. Il 6 novembre, durante una delle tante manifestazioni che si tennero nelle due Berlino, il Muro, simbolo della separazione tra Est e Ovest, fu buttato giù dalla folla di manifestanti, sotto gli occhi della polizia che, a differenza di quanto era successo negli anni della cosiddetta cortina di ferro, non intervenne. L'ultimo paese a capitolare fu la Romania, dove le proteste contro la pesante dittatura di Nicolae Ceausescu (che, a discapito delle riforme portate avanti da Gorbaciov, aveva continuato ad imporre il suo potere con la forza) sfociarono nel sangue. Solo il 25 dicembre del 1989, con l'uccisione del feroce dittatore fu proclamata la fine del regime comunista.

Il 1989 fu anche l'anno di piazza Tienanmen, dove si riunirono migliaia di studenti cinesi per protestare contro la dura repressione del regime. Dai primi di maggio, quando Gorbaciov andò in visita in Cina, rompendo 30 anni di gelo tra i due paesi comunisti, gruppi di manifestanti si riversarono per le strade. Gli studenti chiedevano una maggiore libertà di espressione e la possibilità di essere rappresentati politicamente, ma la risposta del regime fu durissima. Ai principi di giugno fu introdotta la legge marziale e i carri armati dell'Armata Rossa "invasero" le strade della capitale. Nessuno sa quanti siano le vittime di piazza Tienanmen, né cosa sia successo al "famoso" ribelle sconosciuto (l'uomo che osò fermare l'avanzata dei carri armati mettendosi davanti), perché pare che i cambiamenti epocali del 1989 non abbiano intaccato il regime di Pechino.