Sul finire degli anni '70, le tensioni tra lo stato ebraico e terroristi dell'OLP valicò i confini della Palestina, per raggiungere il Libano. Nell'ambito delle operazioni militari nel paese confinante, l'esercito israeliano si rese complice di uno dei massacri più atroci dal dopoguerra. Il 16 settembre 1982, le forze falanghiste e cristiano-maronite libanesi, per vendicare l'assassinio di Bashir Gemayel, il presidente del Libano, sterminarono i palestinesi rifugiati nei capi profughi di Beirut, Sabra e Shatila.

L'esercito israeliano fu accusato di aver favorito il massacro (o quanto meno lasciato indisturbate le milizie falanghiste). L'allora Ministro della Difesa, Ariel Sharon, affermò che nel campo, assieme ai profughi, erano infiltrati anche combattenti dell'OLP, ma fu costretto comunque a dimettersi. L'invasione del Libano da parte di Israele va inserita nel quadro delle operazioni militari che, dopo la guerra della Yom Kippur, furono intraprese per mantenere sicuri i propri confini e combattere i terroristi dell'OLP (l'organizzazione di Arafat che mirava all'eliminazione dello stato ebraico).

La difficile convivenza tra profughi palestinesi, arabi cristiani e infiltrati delle organizzazioni terroristiche fece crescere la tensione all'interno del paese. Israele, sostenuta dalle comunità cristiano-maronite (il cui braccio armato era l'Esercito del Libano del Sud e le armate falanghiste) intraprese azioni militari contro le forze arabe, appoggiate dal Fronte Libanese di Resistenza Nazionale e dagli Hezbollah (sostenute anche dalla Siria).

Nell'estate del 1982, Israele occupò una zona di sicurezza nel Libano meridionale, dove assieme ai 100.000 rifugiati palestinesi, si erano aggiunti i combattenti dell'OLP che, alleati con le popolazioni sciite della regione, avevano formato uno sorta di Stato nello Stato. La guerra in Libano coinvolse anche un contingente di interposizione internazionale, a cui presero parte la Francia, l'Italia e gli Stati Uniti di Ronald Reagan. Il compito del contingente era garantire l'uscita dei 15.000 combattenti dell'OLP asserragliati a Beirut in cambio di un ritiro israeliano dalla capitale libanese.

Una volta che i combattenti dell'OLP ebbero abbandonato Beirut, il 10 settembre (11 giorni prima della data ufficiale) i marines americani lasciarono il Libano e di conseguenza gli altri contingenti militari. Il giorno dopo, l'allora Ministro della Difesa, Ariel Sharon, contestò la presenza di 2.000 guerriglieri dell'OLP rimasti in territorio libanese mentre i Palestinesi negarono il fatto. l 14 settembre 1982 il leader libanese Bashir Gemayel, figlio di Pierre Gemayel fondatore delle truppe falanghiste, fu ucciso, insieme ad altre 25 persone, in un attentato in un quartiere cristiano di Beirut Ovest. I sostenitori di Gemayel attribuirono l'omicidio a gruppi palestinesi infiltrati nei campi profughi.

Il 15 settembre 1982, le truppe israeliane invasero Beirut Ovest, rompendo l'accordo con gli USA che prevedeva il divieto di entrare in quella parte della capitale libanese. Sharon affermò che "l'attacco aveva lo scopo di distruggere l'infrastruttura stabilita in Libano dai terroristi". Tra il 16 e il 18 settembre, le truppe falanghiste, in cerca di vendetta per l'assassinio di Gemayel, entrarono nei campi profughi di Sabra e Shatila e nel giro di due giorni trucidarono circa un migliaio di persone, sotto lo sguardo indifferente dell'esercito israeliano che il giorno prima aveva chiuso ermeticamente i campi profughi e messo posti di osservazione sui tetti degli edifici vicini.

Le stime circa il numero delle vittime è ancora disputato tra polizia libanese (460 morti), e servizi segreti israeliani (700-800 persone). Di fatto, tutte le vittime erano civili, donne e bambini. Il 16 dicembre del 1982, il Consiglio di Sicurezza ONU con la risoluzione 37/123 condannò il massacro. Nonostante le indagini fossero state portate avanti sia dalla Commissione Kahan (istituita dal governo israeliano nel 1983), che dalla Corte di Cassazione belga (che ha competenza universale per i crimini di guerra e contro l'umanità, i cui lavori si sono aperti nel 2001), ancora non si è riuscito a fare luce sul massacro e soprattutto sui rapporti tra i generali israeliani, Ariel Sharon, e i gruppi falanghisti, finora gli unici accusati di avere materialmente commesso l'eccidio.

Nel 2002 Ariel Sharon, all'epoca Ministro della Difesa, rischiò di dover subire un processo all'Aja presso il Tribunale per i Crimini di Guerra. Però, il processo fu presto affossato. Il 24 gennaio dello stesso anno Elie Hobeika, ex falanghista e comandante delle milizie denominate Forze Libanesi (anche lui responsabile dei massacri nel campo profughi) fu ucciso da un'autobomba (ancora oggi l'autore non è stato consegnato alla giustizia). Poco prima della sua morte, Elie Hobeika aveva dichiarato pubblicamente di voler testimoniare contro Sharon per i fatti di Sabra e Shatila.