Dopo John F.Kennedy, William Jefferson "Bill" Clinton è stato il più giovane presidente ad entrare alla Casa Bianca. Eletto per due mandati, dal 1993 al 2001, il neopresidente interruppe 12 anni di potere repubblicano, garantendo agli Stati Uniti uno dei periodi di maggiore prosperità economica. Clinton incarnava il mito del self-made man (l'uomo "fatto da solo"). Cresciuto in una famiglia modesta, senza padre, ma con un patrigno alcolizzato e violento (il suo cognome alla nascita era Blythe), a 28 anni era già Governatore dell'Arkansas.

Figlio del cosiddetto baby boom (lo sviluppo demografico del secondo dopoguerra), apostrofato dai più conservatori come "the MTV president" per le sue apparizioni televisive in cui si esibiva suonando il sax, Clinton fu anche il primo presidente a non aver preso parte alla Seconda Guerra Mondiale.

Nelle elezioni del 1993 il giovane governatore vinse con il 43% delle preferenze contro il 37,4% del presidente uscente George W. H. Bush. Le prime leggi della nuova amministrazione riguardarono il welfare, come promesso nella campagna elettorale. Il primo atto fu il Family and Medical Leave, una legge che permetteva ai lavoratori di ottenere permessi speciali per cure mediche o maternità. Clinton era esponente di una corrente moderata e centrista del partito, chiamata New Democratic, più aperta al libero mercato, erede dei successi economici di Reagan.

Sul fronte economico, infatti, la sua amministrazione intervenne seguendo, in parte, la ricetta di Reagan, favorendo, però, le piccole e medie imprese. Diversamente dalle politiche neoliberali del suo predecessore, Clinton cercò di favorire anche le famiglie più povere, estendendo il Earned Income Tax Credit (assegni familiari per figli o parenti a carico). Gli anni di Clinton furono caratterizzati dal primo boom di internet, tanto che il 21 ottobre 1994 il presidente fece aprire il primo sito online della Casa Bianca, offrendo ai cittadini una maggiore trasparenza sulle attività di governo.

La prima sconfitta dell'amministrazione Clinton arrivò nel 1993, quando la moglie di Bill, Hillary Clinton, capo della Task Force on National Health Care Reform, cercò di modificare il sistema sanitario americano. L'America rimane ancora tuttora l'unico paese industrializzato a non possedere un sistema sanitario statale, dove le spese mediche sono a carico dei cittadini che, attraverso compagnie assicurative private, possono scegliere quale tipo di assistenza richiedere.

Il programma proposto dalla Clinton e da Donna Shalala, Segretario per la Salute, prevedeva l'obbligo per tutti i cittadini americani e per gli stranieri residenti negli States di sottoscrivere un piano sanitario, e impediva la cancellazione da qualsiasi lista senza essere coperti da un altro piano sanitario adeguato, garantendo alle famiglie più povere assistenza medica gratuita. Nel 1993, lo stanziamento iniziale, di 4,5 miliardi per implementare il nuovo sistema avrebbe dovuto raggiungere i 38,3 miliardi nel 2003. La riforma di Hillary e fu duramente osteggiata dai conservatori della Association of American Physicians and Surgeons (AAPS, Associazione Medici e Chirurghi americani) e da altre lobby legate al settore farmaceutico. Una dura propaganda mediatica contro la proposta spinse la maggioranza del Congresso a non approvare il nuovo piano sanitario.

Quando Clinton salì alla Casa Bianca, la Guerra Fredda era ormai cosa del passato e l'America rimaneva l'unica superpotenza mondiale che, secondo Clinton, aveva il dovere di promuovere e difendere la stabilità politica e economica anche nei paesi più disparati. Il primo impegno internazionale di Clinton fu la missione Restore Hope in Somalia, lanciata poco prima della sua elezione dal suo predecessore George W. H. Bush. Ma nonostante il dispiegamento di un cospicuo contingente internazionale, la guerra tra le diverse fazioni somale non si fermò. In risposta alla terribile battaglia di Mogadiscio, in cui persero la vita 19 militari statunitensi, Clinton decise di ritirare le truppe dalla Somalia. La missione lasciò il paese africano nell'ottobre del 1993, costringendo anche molte ONG ad abbandonare la popolazione in balia della devastante guerra civile.

Dopo nemmeno un anno, nell'aprile del 1994 in Ruanda si consumò il più grave genocidio in tutta la storia africana. In poco più di un mese furono sterminate circa un milione di persone, appartenenti all'etnia Tutsi. Il maggiore impegno di Clinton, però, fu quello di risolvere il conflitto israelo-plaestinese. Il 13 settembre 1993 a Oslo in Svezia, sotto l'egida di Clinton, furono ratificati una serie di accordi tra il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e il leader dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, Yasser Arafat, in cui l'Autorità Palestinese otteneva il controllo di parte della Cisgiordania e della striscia di Gaza, in cambio di uno stop alla intifada (la guerriglia palestinese che dagli anni '70 minacciava gli abitanti dei territori israeliani).

Nel 1994, Clinton raggiunse un altro storico traguardo. La Giordania di re Hussein fu, dopo l'Egitto, il secondo paese arabo a riconoscere l'esistenza dello stato di Israele e cessare le ostilità contro lo stato ebreo. Con l'assassinio di Rabin, il 4 novembre 1995, però il processo di pace subì una brusca interruzione, anche se Clinton continuò per tutti gli anni del suo secondo mandato a raggiungere una pace duratura tra i due paesi.

L'unico impegno militare dell'amministrazione Clinton riguardò il tentativo di sedare i conflitti che a dal 1992 al 1999 sconvolsero i Balcani. Subito dopo il crollo dell'Unione Sovietica, anche la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia (RSFJ, alla quale appartenevano Bosnia Erzegovina, Croazia, Macedonia, Montenegro, Serbia e Slovenia) si sgretolò. Sia in Croazia che in Bosnia, però, le aspirazioni di indipendenza portarono a 4 anni di scontri violenti.

Mentre in Croazia gli scontri si alternarono a una serie di cessate il fuoco, in Bosnia il conflitto assunse proporzioni molto più gravi, come testimonia il massacro di Srebrenica (all'epoca la città era sotto la tutela delle Nazioni Unite), il più grave eccidio avvenuto in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale, con un bilancio di circa 7.500 vittime. La guerra in Bosnia si concluse con la conferenza di pace di Dayton, in Ohio, dal 1° al 21 novembre 1995, fortemente voluta da Clinton e coordinata dal Segretario di Stato, Warren Christopher. Ma la pace nella regione durò molto poco. Già nella primavera del 1998, nella Repubblica di Serbia e Montenegro le prime tensioni tra gli abitanti della provincia meridionale del Kosovo e l'esercito serbo minacciarono una nuova escalation.

Più del 90% della popolazione kossovara, infatti, era musulmana o di etnia albanese e la maggior parte chiedeva l'indipendenza da Belgrado. Diversamente, i serbi guidati da Slbodan Miloševic consideravano il Kosovo proprio territorio. Sul finire del 1998, il segretario NATO, Javier Solana, si fece promotore di una serie di negoziati a Rambouillet, in Francia, in cui le diverse parti in campo (gli albanesi dell'UÇK e la Serbia) avrebbero dovuto ottenere una risoluzione pacifica del conflitto, coadiuvate da NATO, Russia e Cina. Nonostante la resistenza dei rappresentanti dell'UÇK, gli Stati Uniti riuscirono a far firmare alle parti in causa un documento nel quale veniva formalmente garantita l'autonomia del Kosovo, ma non la sua piena indipendenza.

Nel successivo incontro di Parigi, però, gli Usa imposero una serie di condizioni che la Serbia non avrebbe mai accettato, come la presenza di 30.000 uomini della NATO sul suolo jugoslavo. Il 24 marzo 1999, iniziarono i bombardamenti della NATO sul Kosovo. La guerra, infatti, non ebbe mai il consenso dell'ONU. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, infatti, non autorizzò l'uso della forza in Kosovo per i voti contrari di Cina e Russia. Alla fine del conflitto, nel giugno 1999, il Kosovo divenne un protettorato delle Nazione Unite, ma de jure rimase parte della Serbia. In seguito ai bombardamenti, le persecuzione contro i kosovari si inasprirono, tanto che nella conta delle vittime riportata un anno dopo dalla Croce Rossa, dei 3.368 civili uccisi 2.500 erano albanesi, mentre pare che i cadaveri serbi ammontassero "soltanto" a 400.

L'accordo del Venerdì Santo – Uno dei maggiori impegni internazionale di Clinton fu la ricerca di una soluzione pacifica all'annoso conflitto in Irlanda del Nord. Grazie alla mediazione statunitense guidata dal senatore George Mitchell, il 10 aprile 1998, il leader britannico Tony Blair e quello irlandese Bertie Ahern firmarono il cosiddetto Accordo del venerdì Santo.

Clinton è stato il primo presidente a viaggiare in Vietnam dopo la guerra che sconvolse la nazione asiatica ed ebbe pesanti ripercussioni anche sulla politica americana. Il 16 novembre 2000, ormai alla fine del suo secondo mandato, Clinton giunse ad Hanaoi dove tenne un importante discorso pubblico, in cui annunciava la ripresa del dialogo con l'antico nemico degli Stati Uniti. Dopo la rivoluzione Islamica del 1979, il rapimento dei diplomatici USA a Teheran e lo scandalo Iran-Contra, i rapporti diplomatici tra Stati Uniti e Iran erano ormai compromessi. L'Iran, accusato di sponsorizzare il terrorismo islamico, divenne uno "stato canaglia" (Clinton fu il primo ad utilizzare quest'espressione ormai tristemente comune). Ma a partire dal secondo mandato, nel 1997, le relazioni tra i due paesi andarono migliorando sempre più, grazie soprattutto alla leadership moderata del neoeletto presidente Mohammad Khatami.

Dopo una serie di segnali positivi, l'Ayatollah (massima autorità religiosa iraniana) Ali Khamenei rifiutò ogni forma di dialogo con gli Stati Uniti se questi non avessero ritirato formalmente il sostegno allo stato di Israele. Nonostante i tentativi da parte di alcuni diplomatici di riallacciare rapporti con Teheran, il secondo mandato di Clinton si chiuse con una rottura definitiva tra Usa e Iran, diventando, invece, il leit motiv della futura amministrazione Bush. Anche se reclutante ad ogni coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nel Golfo Persico, anche Clinton ebbe rapporti belligeranti con l'Iraq di Saddam Hussein. Eletto poco dopo la fine della prima guerra del Golfo, il neo presidente si limitò per lo più a far rispettare gli accordi postbellici.

Lo scandalo Monica Lewinsky – Monica Lewinsky, ex stagista della Casa Bianca, in una confessione telefonica registrata dall'ex collega Linda Tripp, confessò di avere avuto una relazione proprio con Bill Clinton. Dopo pochi giorni la Tripp consegnò la registrazione al giudice indipendente Kenneth Starr che stava già indagando sui Clinton. Nel giro di pochi giorni la notizia giunse ai media costringendo il presidente il 26 gennaio 1998 a tenere una conferenza stampa, in cui, assieme alla moglie Hillary negò di aver avuto una relazione con la stagista. Il 28 luglio del '98, Lewinsky fu chiamata a testimoniare contro Clinton. Tra le prove della loro relazione, l'ex stagista portò alla corte un vestito blu (mai lavato) su cui c'erano macchie dello sperma del presidente.

Il 17 agosto 1998, in una deposizione al Grand Jury Clinton ammise di aver avuto una "relazione fisica sconveniente" con la Lewinsky. Il 19 dicembre dello stesso anno, la Camera dei Rappresentanti sfiduciò Clinton per aver mentito in presenza del Grand Jury, con 206 a favore voti su 228, e per aver ostruire il percorso della giustizia, con 212 voti su 221. Nonostante lo scandalo, solo apparentemente "frivolo" (motivo dell'impeachment fu proprio quello di aver mentito alla nazione), Clinton terminò il suo secondo mandato con una percentuale di preferenza altissima pari al 56% (era dai tempi Roosevelt che un presidente americano non lasciava il suo incarico con così tanta popolarità).