Il 1989 fu, in tutto il mondo, l'anno dei grandi cambiamenti. Dalla fine della guerra fredda, alla caduta del Muro di Berlino e la conseguente fine dei regimi comunisti dell'Est Europa. Per la Cina, il 1989 fu soprattutto l'anno di piazza Tienanmen. Fino ad allora, le uniche manifestazioni studentesche erano state quelle legate alla Rivoluzione Culturale del 1966 voluta da Mao Zedong per epurare il Partito Comunista dagli elementi troppo riformisti. Tra questi vi era anche Deng Xiaoping che, dopo essere stato allontanato dal Partito ed aver scampato una serie di attentati, dal 1981 era aveva guidato la Cina verso l'apertura economica.

Le prime manifestazioni di dissenso contro il governo di Pechino iniziarono il 15 aprile 1989, durante i funerali di Hu Yaobang, ex collaboratore di Deng, allontanato negli ultimi anni dalla vita politica perché considerato troppo riformista.

La risposta ufficiale arrivò il 25 aprile dalle pagine del Quotidiano del Popolo a firma proprio di Deng Xiaoping che, anche se non aveva più nessun ruolo all'interno del governo, de facto era il vero leader in Cina. Nell'editoriale, Deng accusò gli studenti di complottare contro il governo e di fomentare nuove agitazioni di piazza. Sfidati dalle massime rappresentanze del Partito Comunista, 100.000 persone marciarono per le strade di Pechino chiedendo più libertà di espressione e una maggiore rappresentanza politica.

I manifestanti scelsero come data simbolica proprio il 4 maggio, settantesimo anniversario della prima manifestazione studentesca, dalla quale nacque il Movimento del 4 maggio che tanto avrebbe ispirato anche i rivoluzionari del 1949, come lo stesso Mao.

Dopo un breve periodo di tregua, le proteste contro il governo e il PCC ripresero in occasione della visita del leader sovietico Mikhail Gorbachev. Una visita storica, la prima dopo il 1959, dato che i rapporti tra le due nazioni comuniste erano sempre stati gelidi, dovuti soprattutto alla paura da parte cinese dell'ingerenza sovietica.

Il 13 maggio, duemila studenti si radunarono in piazza Tienanmen, dove venne eretta la statua raffigurante la Dea della Democrazia, un'opera d'arte in polistirolo e cartapesta, alta 10 metri, simbolo delle aspirazioni di libertà dei manifestanti. Il 15 maggio, all'arrivo di Gorbachev a Pechino la sua scorta fu bloccata da un imponente sciopero, che impedì al leader russo l'accesso a piazza Tienanmen, mettendo in serio imbarazzo le autorità cinesi. Col passare dei giorni, alle richieste degli studenti si unirono quelle degli operai tanto che il movimento andò guadagnando sempre più popolarità, non solo in Cina ma anche all'estero.

La risposta del governo fu durissima, Deng, infatti, decise di dichiarare la legge marziale e reprimere con le armi le manifestazioni. Alla notizia della possibile introduzione della legge marziale, i rivoltosi dichiararono uno sciopero generale, mentre si moltiplicarono i sit in di protesta e gli scioperi della fame. L'ultimo appello alla pacificazione fu tenuto da Zhao Ziyang, Segretario del Partito Comunista, unico membro dell'establishment che tentò di stabilire un dialogo con i rivoltosi.

Il 19 maggio, Zhao fece la sua ultima apparizione pubblica in piazza Tienanmen dove tenne un memorabile discorso attraverso il quale cercò di convincere i rivoltosi a porre fine alle manifestazioni, in particolare agli scioperi della fame. "Se fate finire lo sciopero della fame, il Governo non chiuderà la porta del dialogo, mai! Le domande che voi avete posto, possiamo continuare a discuterle. Anche se è un po' lento, stiamo arrivando ad un qualche accordo su alcuni problemi." L'appello di Zhao non ebbe seguito. E il 20 maggio, il governo cinese dichiarò l'introduzione della legge marziale.

Dopo 40 di regime, quella fu l'unica occasione in cui l'Esercito Popolare di Liberazione marciò sulla capitale per occuparla, anche se l'esercito aveva ricevuto l'ordine di non sparare sulla popolazione civile, la situazione precipitò in pochi giorni. Nella notte tra il 3 e il 4 giugno, l'esercito raggiunse piazza Tienanmen per sgomberare gli ultimi gruppi di manifestanti. Secondo alcuni testimoni come la giornalista sino-canadese Jan Wong, l'esercito, una volta entrato in piazza, sparò contro i manifestanti, non proiettili di gomme come questi credevano, ma proiettili veri.

La decisione di sparare sui manifestanti fu presa da Deng Xiaoping, all'epoca Capo della Commissione Centrale Militare. Il bilancio delle vittime di piazza Tienanmen rimane ancora tutt'ora avvolto nel mistero. Dopo una prima stima di 271 morti, inclusi i militari, e di circa 7.000 feriri, il governo cinese, infatti, non ha mai reso pubblico alcun documento in merito ai fatti di Tienanmen. Inizialmente la Croce Rossa cinese parlò addirittura di 2.600 morti e 30.000 feriti, ma fu subito costretta a ritirare le proprie stime.