Come spesso accade, sport e politica sono legati da un filo sottile, a volte invisibile, ma allo stesso tempo molto forte. È successo a Parigi due giorni fa allo Stade de France. La Marsigliese, l'inno nazionale, è stato fischiato durante l'incontro amichevole tra la squadra di casa e la Tunisia.

Ma ciò che ha sconvolto l'opinione pubblica sono stati i numerosi fischi piovuti proprio dai supporter francesi. Un folto gruppo di ragazzi dalle Banlieue, le periferie di Parigi, molti dei quali di origini magrebine, hanno fischiato l'inno prima dell'incontro.

Non è la prima volta che la Francia si trova a dover affrontare un problema del genere. Già nel 2001, l'inno nazionale fu fischiato durante il match contro l'Algeria, e nel 2007 contro il Marocco.

La risposta da parte delle autorità non si è fatta attendere, anzi, l'incidente è diventato un vero e proprio affare di stato. Il presidente Nicolas Sarkozy e Roselyne Bachelot, la Ministra dello Sport, hanno fatto sapere che nel caso si dovesse ripetere un simile episodio, la partita andrebbe sospesa, appellandosi a una legge, introdotta nel 2003, da Chirac (e mai applicata) che considera anche i fischi all'inno come offesa alla nazione.

In poche ore, le dichiarazioni di politici e personaggi dello sport si sono rincorse l'un l'altra, cavalcando l'onda mediatica. L'opposizione Socialista, attraverso le parole della deputata Elisabeth Guigou, ha criticato duramente la posizione del governo di centro destra: "A che punto va fermato il match? Dopo 1.000, 5.000, 10.000 fischi?". Mentre Le Figaro, quotidiano vicino alla destra, ha scritto: "Se si interrompe una partita dopo i fischi all'inno nazionale, di sicuro ci saranno episodi di violenza, sia nello stadio che fruori".

E' certo che i fischi contro la Marsigliese rappresentano il segno di un malessere, vissuto proprio da quei cittadini di origine nordafricana che hanno difficoltà a sentirsi davvero "francesi". Il giornale di sinistra Libération ha riportato, infatti, la testimonianza di Eldeterr, una ragazzina di 15 anni che ammette di aver fischiato prima della partita: "sì ho fischiato e ti dico perché: non posso amare un paese che non mi ama."

Il nocciolo della questione non è quindi solo se e come gestire episodi del genere, ma capire le ragioni che li determinano, come sostiene il socialista Malek Boutih: "E' evidente che i simboli repubblicani non sono troppo popolari nei sobborghi."

La risposta del governo, però, è arrivata sulle pagine de Le Parisien, il giornale della capitale, dove la Ministra degli interni, Fadela Amara, anche lei di origine nordafricana, ha dichiarato: "Ne abbiamo parlato abbastanza del malessere sociale e dei problemi di integrazione. Dobbiamo smetterla di trovare delle scuse per queste persone".

In un'intervista, Tierry Henry, attaccante della nazionale, ha detto di non essersi sentito a proprio agio nell'essere fischiato proprio mentre giocava in casa. Ma il suo compagno di squadra, Hatem Ben Arfa, di origini tunisine, ha minimizzato: "non sono arrabbiato con i fan. Non è stata una bella cosa, ma di certo non è il più grave dei problemi".

Come da pronostico, la Francia ha vinto il match 3-1. Una partita amichevole è diventata un caso politico. Ma anche etnico, laddove il senso dell'appartenenza rischia di trascendere i confini geografici e l'episodio dimostra tutte le difficoltà e le contraddizioni che una società multietnica deve affrontare.

Milena Cannavacciuolo