Dopo anni di battaglie legali e proteste politiche, gli aborigeni australiani hanno ottenuto un'importante vittoria per la difesa del loro territorio. Ieri la corte federale di Sydney, infatti, ha ordinato alla multinazionale anglo-svizzera Xstrata di interrompere i lavori per la deviazione del fiume McArthur, nel nord del paese dove risiedono la maggior parte degli aborigeni.

Il McArthur scorre in una regione con una delle maggiori miniere di zinco a livello mondiale. Dal 1996, le operazioni per lo sfruttamento del territorio sono in mano alla Xstrata, alla quale, tre anni fa, il governo accordò il permesso di deviare il corso del fiume, al fine di espandere le estrazioni di minerali. A sostegno degli aborigeni insorsero i gruppi ambientalisti, sostenendo che, durante il periodo delle piogge, si sarebbero verificate infiltrazioni di sostanze tossiche che avrebbero inquinato il fiume.

La notizia è stata accolta con un boato di gioia da parte delle comunità locali, anche se Archie Harvey, rappresentante dei proprietari aborigeni, ha fatto sapere di volere ancora di più: "Vogliamo il nostro fiume come era. Non sappiamo come faranno, ma loro l'hanno deviato e loro lo devono riportare dove era".

Guardando alla difficile situazione in cui vivono gli aborigeni australiani, la sentenza assume un enorme valore simbolico. Considerati come uomini preistorici, sin dal primo insediamento britannico, nel 1768, gli aborigeni sono stati oggetto di massacri e vessazioni.

Secondo recenti ritrovamenti archeologici, la popolazione indigena all'epoca doveva oscillare tra i 700mila e i 750mila, e l'arrivo degli inglesi coincise con la diffusione di malattie sconosciute in precedenza, come la varicella che sterminò in pochi anni il 50% della popolazione. Tanto che all'inizio del ventesimo secolo gli aborigeni erano solo 93.000.

Soltanto nel 1962 il Parlamento concesse alla popolazione indigena il diritto di voto e cinque anni dopo, nel 1967, la possibilità di avere delle proprie rappresentanze elettorali (anche se, nell'attuale legislatura non c'è nessuno deputato aborigeno). In compenso, nel 1971, la Corte di giustizia di Blackburn decretò che l'Australia, prima dell'insediamento britannico, era terra nullius, cioè terra di nessuno, negando agli aborigeni qualsiasi principio legale che permettesse loro di rivendicare il possesso delle terre sottratte o comprate dai coloni (principio chiamato native title).

La situazione fu ribaltata nel 1992, quando la Corte Suprema d'Australia, nel giudicare il caso Mabo (dal nome dell'attivista aborigeno Eddie Koiki Mabo che citò in giudizio il governo del Queensland) riconobbe il diritto di possesso delle terre agli indigeni.

Soltanto quest'anno, il 13 febbraio, il primo ministro Kevin Rudd ha chiesto pubblicamente scusa alle popolazioni indigene in nome del governo australiano. Il suo è stato un gesto simbolico importante nei confronti della cosiddetta Stolen Generation (generazione rubata). Il termine Stolen Generation si riferisce ai bambini indigeni “prelevati” dalle loro case dalle autorità locali o dalle chiese, a partire dal 1869 fino al 1969, per volere del governo australiano al fine di salvarli dal declino della loro gente.

Attualmente, in Australia vivono circa 517mila aborigeni (solo il 2,5% della popolazione), le loro aspettative di vita sono decisamente inferiori rispetto a quelle dei bianchi: 59,4 anni contro 76,6 per gli uomini, 64,8 contro 82 per le donne. Dati che riflettono l'alto tasso di mortalità infantile, dovuta soprattutto alla larga diffusione di malattie legate alla malnutrizione.

Secondo alcune stime del 2006, il 31% della popolazione indigena vive nelle maggiori città, mentre il 45% nelle zone interne, e il restante 24% vive nelle zone più impervie e remote del paese dove i tassi di alcolismo, droga e disoccupazione sono altissimi. Inoltre il livello di integrazione tra bianchi e aborigeni è aumentato soltanto negli ultimi anni, la percentuale di matrimoni misti è passata dal 46% nel 1986 al 69% nel 200.