La richiesta turca di entrar a far parte dell'Unione Europea (la domanda fu presentata nel 1987, mentre i negoziati sono iniziati solo nel 2005) è stata segnata da una serie di alti e bassi. Più volte da Bruxelles si sono levate gravi accuse nei confronti del governo di Ankara.

La pena di morte, abolita solo nel 2001, la persecuzione delle minoranze etniche e il negazionismo del massacro armeno non sono solo questioni spinose per l'ingresso turco nell'UE, ma si tratta soprattutto di tragici eventi che, nel corso del XX secolo, hanno lasciato sul campo più di un milione di vittime.

Uno dei primi ostacoli all'ingresso nella Unione Europea è stata la questione cipriota. L'isola mediterranea, indipendente dal 1959, venne invasa dalle truppe di Ankara nel 1974, dopo quasi un ventennio di guerra civile tra le etnie greche e quelle turche.

L'anno dopo, infatti, la parte nord (a maggioranza turca) si autoproclamò Repubblica Turca di Cipro Nord (anche se questa non è mai stata riconosciuta da nessuno stato occidentale, né dalle Nazioni Unite). L'imbarazzo diplomatico nacque nel momento in cui la parte meridionale dell'isola fece richiesta per entrare nella Comunità Europea.

Dopo una serie di accordi, dal primo maggio 2004, Cipro fa parte dell'Unione e dal gennaio 2008 l'Euro è la moneta utilizzata nella parte meridionale. E la diplomazia, sai da un lato che dall'altro, ha dovuto mediare non poco per permettere un ingresso "pacifico" della piccola isola.

Altra cosa è la questione curda. Si tratta, infatti, di un conflitto interno alla Turchia che in un trentennio ha causato centinaia migliaia di morti e di sfollati. Anche se del conflitto ha avuto eco internazionale solo sul finire degli anni '80, le sue radici sono ben più antiche e risalgono alla prima guerra mondiale, in seguito al crollo definitivo dell'impero Ottomano.

Con il Trattato di Losanna del 1922, le nazioni vincitrici (sotto la spinta della Gran Bretagna) divisero l'area geografica denominata come Kurdistan (la terra dei curdi, appunto) tra Iran, Iraq, Turchia, Siria e Armenia. Il Kurdistan turco (ricco di risorse naturali) si trova nella zona sud orientale del paese.

Le tensioni iniziarono negli anni '70, quando il regime militare oppresse duramente tutte le minoranze etniche, colpevoli – assieme alle forze politiche islamiche – di destabilizzare il paese. Il 27 novembre 1978, Abdullah Öcalan, studente di scienze politiche ad Ankara, e suo fratello Osman fondarono il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Partîya Karkerén Kurdîstan, PKK), di ispirazione marxista.

In un primo momento il PKK poteva contare sul sostegno anche da parte delle popolazione turca. Ma dopo il colpo di stato del generale Kenan Evren, le posizioni del PKK si inasprirono. A partire dai primi anni '80 il PKK perse l'appoggio partiti comunisti turchi e decise di abbracciare la lotta armata. Nella regione iniziò una stagione di violenza, con attentati da parte dei guerriglieri seguiti da feroci rappresaglie da parte dell'esercito turco.

Violenze che non si placarono fino alla fine degli anni '90, in seguito all'arresto dello stesso Öcalan. Secondo un rapporto della Commissione di Indagine del Parlamento turco, il conflitto tra lo stato e il PKK avrebbe provocato complessivamente tra le 35.000 e le 40.000 vittime, suddivise tra militari e civili appartenenti a varie etnie.

A partire dall'11 settembre 2001, il PKK fu inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche e nel 2006, il governo di Ankara varò una legge che prevedeva l'arresto anche per i minori che manifestavano a sostegno di organizzazioni riconducibili al PKK.

Di contro, a partire dal 2008, il leader curdo, Murat Karayilan, ha inviato alcuni segnali di apertura, invitando sia il governo di Ankara che gli stessi movimenti curdi alla fine delle ostilità, anche se la presenza del PKK e la sua sempre maggiore spinta militarista continua a minacciare una soluzione pacifica.

Un ulteriore motivo di crisi nelle trattative tra Unione Europea e Turchia è rappresentato dal genocidio armeno. Le popolazioni armene, storicamente stanziate tra il Caucaso e l'Anatolia, attualmente sono in maggioranza all'interno dell'Armenia, ex repubblica sovietica, ma in passato erano presenti anche in Turchia. Il genocidio del popolo armeno iniziò prima della scoppio della Prima Guerra Mondiale, quando la Turchia (ancora parte dell'impero ottomano) era retta dal governo dei Giovani Turchi, movimento politico nazionalista salito al potere nel 1908.

Per paura che l'etnia armena, di fede cristiana, potesse allearsi con la Russia degli zar e invadere la Turchia, Ankara decise di sterminare tutti gli armeni presenti nella regione della Cilicia: solo nel 1909 ne furono massacrati 30.000. Durante gli scontri del primo conflitto mondiale, molti soldati armeni passarono al fronte nemico, entrando a far parte dell'esercito russo. La repressione turca non tardò ad arrivare: a partire dal 1915, vennero deportati 1.200.000 persone di etnia armena, quelli che non furono massacrati dall'esercito, morirono di fame o malattia.

Il governo turco continua ancora oggi a rifiutare di riconoscere il genocidio armeno. Dall'altra parte del Vecchio Continente la risposta è netta: oltre a osteggiare l'ingresso turco nell'Unione Europea, la Francia punisce con il carcere la negazione del genocidio armeno. In Turchia, invece, il solo nominare in pubblico l'esistenza del genocidio è perseguibile con l'arresto e la reclusione fino a tre anni, in quanto gesto anti-patriottico.

Il primo a pagarne le conseguenze fu lo storico turco Taner Akçam, il quale per primo decise di parlare apertamente di genocidio. Nel 1976 fu arrestato e condannato a dieci anni di reclusione per i suoi scritti. Nel '77 riuscì a scappare in Germania e attualmente insegna negli Stati Uniti alla University of Minnesota.