Il 10 ottobre del 2009 i Ministri degli Esteri della Turchia, Ahmet Davutoglu, e dell’Armenia, Edward Nalbandian, hanno firmato a Zurigo uno storico accordo di normalizzazione delle relazioni internazionali.

Con questa breve e coincisa formula si vuole indicare la ripresa delle relazioni diplomatiche e consolari tra due Paesi, che riprendono a parlarsi dopo un periodo di rottura e d’incomprensioni. Questo periodo per Turchia ed Armenia è durato all’incirca 94 anni, vale a dire dalla caduta dell’Impero Ottomano, sfaldatosi durante la Prima Guerra Mondiale.

I Giovani Turchi, desiderosi di ricostituire una nuova Turchia senza minoranze etniche interne, decisero di attuare una sistematica repressione ed uccisione degli armeni presenti sul loro territorio. Tra il 1915 ed il 1916 circa un milione e duecentomila armeni furono deportati e centinaia di migliaia furono massacrati.

Ma la guerra delle cifre e delle relative fonti, tra armeni e turchi, si protrarre tuttora oggi, con Ankara che rifiuta di definire gli avvenimenti del 1915-1916 un genocidio, ridimensionando i dati e facendo infuriare sia Erevan, sia le migliaia di esuli che hanno lasciato il territorio armeno in seguito ai massacri ed alle persecuzioni.

L’accordo tra Turchia ed Armenia non è stato naturalmente un atto spontaneo. Dietro la presenza del Segretario di Stato americano Hillary Clinton all’Università di Zurigo, dove si è tenuta la cerimonia, si possono intravedere cospicui interessi americani nell’area caucasica. Anzi è stata soprattutto la Clinton a spingere fortemente per quest’accordo di normalizzazione, dopo un ritardo inusuale prima della cerimonia che aveva fatto temere il peggio.

I discorsi di Davutoglu e Nalbandian, che avrebbero dovuto accompagnare la firma dell’accordo, non si sono infatti tenuti, presumibilmente poiché contenevano frasi ed espressioni ritenute inaccettabili o troppo compromettenti da entrambi i Ministri.

Il Segretario di Stato americano, prendendo in mano la situazione, ha costretto i suoi colleghi ad affrontare sia le proprie responsabilità che quelle storiche dei propri Paesi, al fine di stabilizzare un’area critica come quella del Caucaso, dove troppi interessi si stanno incontrando, o meglio scontrando sul terreno. Ed infatti, oltre alla Clinton, era presente anche il Ministro degli Esteri della Russia, Sergej Lavrov, a confermare il fatto che nonostante la dissoluzione dell’Unione Sovietica (l’Armenia ne ha fatto parte fino al 1991, prima come parte della Repubblica Transcaucasica, poi come Repubblica Sovietica dell’Armenia), quando si parla di Caucaso Mosca gioca sempre in casa.

Se infatti l’interesse degli americani è quello di favorire il principale alleato di Washington nella regione, vale a dire la Turchia, mettendo fine ad un’ostilità che dura da troppo tempo e che rischia sempre di destabilizzare la regione, i dirigenti russi cercano invece di guadagnare alleanze in un’area in cui rischiano di perdere terreno, a meno di non ricorrere all’uso della forza, come dimostrato dalla guerra tra Russia e Georgia nell’estate del 2008. Guerra cui è seguita la costituzione dei due nuovi Stati dell’Abkhazia e dell’Ossezia, riconosciuti però solo da Mosca, dal Nicaragua e dal Venezuela.

Ma la vera guerra che si sta combattendo nel Caucaso è la guerra dei tubi: gli oleodotti ed i gasdotti provenienti infatti dalla regione del Mar Caspio passano tutti esclusivamente dal Caucaso ed interesseranno sia gli americani (vedi il progetto Nabucco), sia i russi (che intendono favorire il loro South Stream, in opposizione agli altri progetti), sia gli Europei, principali consumatori del gas e petrolio caucasico.

Una soluzione pacifica tra Armenia e Turchia può favorire un più celere ingresso di Ankara nell’UE, visto che l’opposizione principale proveniente dalla Francia ha, tra l’altro, sempre fatto leva sulla questione armena (una delle più grosse minoranze presenti sul territorio francese) e la presenza a Zurigo del Ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner ne è la dimostrazione.

L’ingresso della Turchia in Europa può essere anche lo scopo implicito dell’azione degli USA, tesa a favorire il caposaldo della NATO nel Vicino Oriente. Ma l’accordo deve essere ancora ratificato dai Parlamenti di entrambi gli Stati e sia le opposizioni che alcuni membri delle maggioranze al Governo hanno già annunciato battaglia. Infine vi sono da registrare le critiche dell’Azerbaigian, Stato turcofono e musulmano, contrapposto all’Armenia cristiana da un’altra rivalità secolare, esacerbata dalla questione delle enclaves del Nagorno-Karabah e del Nakhcivan, effetti non desiderati della guerra del 1988-1994. Come si può osservare, e come sempre d’altronde, la strada verso una vera e propria pace sarà lunga e difficile.

Umberto Profazio
Institute for Global Studies


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