Il 23 ottobre, a distanza di dieci mesi dall'inizio delle proteste che hanno portato alla fine del regime di Ben Ali, si sono tenute le prime elezioni libere in Tunisia. Gli elettori sono stati chiamati a votare per eleggere i membri dell'Assemblea costituente, il cui compito sarà riscrivere la costituzione e consolidare il processo democratico.

La vittoria è andata al partito islamico moderato al-Nahda, conosciuto anche come Ennahda (Rinascita), guidato da Rached Ghannouchi, tornato in patria dopo 20 anni d'esilio in Inghilterra. Secondo quanto riportato dagli osservatori internazionali le elezioni si sono svolte correttamente. Ennahda ha ottenuto il 40% di voti, seguito da due partiti di sinistra, il Congresso per la repubblica (Cpr), guidato da Moncef Marzouki e il Forum Democratico per la Libertà e il Lavoro, (Ettakatol). Ma il dato più significativo è la percentuale dei votanti: si è recato alle urne più del 90% degli aventi diritto. Il segno tangibile della grande fame di democrazia del popolo tunisino.

L'Assemblea costituente, quindi, sarà composta dai rappresentanti di Ennahda più i due partiti di sinistra. A tal proposito, la domanda che tutti si pongono è come sarà la democrazia in Tunisia sotto la guida di un partito di chiara ispirazione religiosa. Ennahda nasce, infatti, più di 20 anni fa come partito islamico radicale, in opposizione al Partito Democratico Costituzionale (PDC) di Ben Ali. Nel corso degli anni, a cominciare dal 1994 quando fu dichiarato illegale dal regime tunisino, si è spostato su posizioni sempre più moderate, grazie anche l'espulsione dei delle frange più estremiste.

In diverse occasioni, infatti, Ghannouchi ha detto di ispirarsi al partito Giustizia e Libertà del leader turco Erdogan, ai Cristiano-Democratici di Angela Merkel, e di voler seguire il modello economico svedese (libero mercato e stato sociale). Inoltre, il giorno in cui veniva sancita l'alleanza con Ennahda, il suo alleato Marzouki ha voluto sottolineare che Ennahda è un partito moderato che i suoi leader non sono "i talebani della Tunisia".

In effetti i segnali che arrivano dal paese nordafricano lasciano intendere che sia così. Un esempio è l'equa distribuzione delle candidature: il 50% delle liste elettorali di Ennahda era composto da donne (di gran lunga superiore a moltissimi paesi occidentali). In più, a partire da settembre la Ministra per le donne del governo provvisorio, Lilia Labidi, aveva lanciato una massiccia campagna dal titolo "Io devo esserci" per sensibilizzare la donne al voto. Sempre a settembre, la Tunisia è stato il primo paese della regione a ritirare ogni riserva rispetto al CEDAW (Committee on the Elimination of Discrimination against Women, commissione delle Nazioni Unite per l'eliminazione delle discriminazioni contro le donne).

Inoltre, molti degli alleati di Ghannouchi provengono dalle Ong e dalle associazioni che negli anni passati si erano battuti per difendere i diritti umani dei loro concittadini. A tal proposito non va dimenticato che Ben Ali era a capo di un regime del tutto laico, che - come Gheddafi in Libia e Mubarak in Egitto - usava la lotta al terrorismo islamico come arma per annientare i propri avversari, nonché come forma di legittimazione al cospetto delle nazioni occidentali.

Nonostante ciò, continua a circolar un certo scetticismo rispetto alle posizioni di Ennahde, soprattutto tra le fila dell'opposizione di sinistra, come il Partito Democratico Progressista (PDP) che non è riuscito ad ottenere abbastanza voti per entrare nell'Assemblea costituente. In particolare, esponenti del PDP accusano Ghannouchi e i suoi di avere due facce: una pubblica, moderata, aperta al pluralismo politico e un'altra estremista, che ha conquistato i voti delle zone rurali fomentando l'integralismo religioso. In tal senso anche il New York Times, che in linea generale ha plaudito le vittoria di Ghannouchi, non manca di sottolineare che "i sostenitori di Ennahda cantano inni religiosi durante le manifestazioni, che i suoi portavoce spesso citano il Corano e che i suoi leader dicono di voler proteggere l'Islam dopo decadi di oppressione da parte dittatori laici".

Del resto, pochi giorni prima delle elezioni, una massiccia manifestazione organizzata da gruppi islamici radicali aveva attraversato le strade di Tunisi, protestando contro il passaggio televisivo del film Persepolis, realizzato dalla fumettista iraniana Marjane Satrapi (ormai da anni in esilio a Parigi). In particolare, i manifestanti non avevano gradito la rappresentazione di Dio come un uomo anziano dai capelli e la barba bianca (secondo l'Islam, infatti, non è possibile realizzare alcuna immagine iconografica di Allah).

Forse è ancora presto per esprimere un giudizio netto sulla nuova leadership tunisina, anche perché le sfide che attendono Ghannouchi e i suoi alleati sono tante e prescindono dalle questioni religiose: un'economia in recessione, un gap tra la zone costiere più ricche e quelle interne più arretrate, un tasso di disoccupazione che oscilla attorno al 20% e che raggiunge il 40% per le donne laureate. L'unica cosa certa, invece, è che le vicende politiche tunisine avranno un'eco significativa in tutti paesi dell'area, soprattutto in quelli travolti dalla cosiddetta "primavera araba" come Libia ed Egitto, che si trovano a sperimentare la democrazia, senza che questa sia stata "importata" dall'occidente.