Il 16 ottobre 1998, il giudice spagnolo Baltasar Garzón emise un mandato di cattura internazionale nei confronti di Augusto Pinochet, che in quel momento si trovava a Londra per problemi di salute. L'ex dittatore venne messo agli arresti domiciliari e il suo divenne un caso internazionale. Le accuse di Garzón (che da anni indagava sull'omicidio dell'ufficiale ONU Carmelo Soria avvenuto nel 1976 a Santiago) erano di genocidio e crimini contro l'umanità. Il governo cileno negò alla Spagna l'estradizione e dopo 16 mesi di dibattiti, l'11 marzo 2000, Jack Straw, il ministro della giustizia inglese, decise di rispedire in patria il generale, a causa delle sue cattive condizioni delle salute. All'aeroporto, Pinochet fu accolto da un gruppo di sostenitori come un eroe e nei giorni successivi, il Parlamento cileno approvò una legge per istituire la carica di "ex-presidente", il che gli avrebbe garantito la totale immunità. Nonostante ciò, nel 2002 la Corte Suprema accolse la richiesta del magistrato Juan Guzmán di processare Pinochet per le 79 vittime dei cosiddetti "Squadroni della morte". In una tale situazione, anche il Parlamento fu costretto a rimuovere l'immunità, mentre altre accuse piovevano sulla testa del dittatore (come l'omicidio di Carlos Prats). Pinochet morì all'età di 91 anni, senza apparire nemmeno una volta in aula di tribunale: le sue cattive condizioni di salute (i suoi legali sostenevano che fosse affetto da demenza senile) gli impedirono di essere processato. Per approfondire, consigliamo "Il generale e il giudice" di Luis Sepúlveda, collezione di articoli del famoso scrittore cileno (nonché testimone oculare del golpe contro Allende) apparsi su vari quotidiani tra il 1998 e il 2003.