Il programma nucleare fu lanciato, la prima volta da Mohammad Reza Pahlavi negli anni '50, con l'appoggio degli Stati Uniti. Secondo gli accordi tra Teheran e Washington, l'Iran avrebbe costruito 23 impianti nucleari entro il 2000. Nel marzo 1974, infatti, lo Scià dichiarò: "Il petrolio è un materiale nobile…ma noi prevediamo di produrre, quanto prima possibile, 23mila megawatt di energia attraverso gli impianti atomici". Dopo la Rivoluzione khomeinista, l'Iran sospese ogni programma nucleare, ma già nei primi anni '80, gli Stati Uniti fecero pressioni sull'IAEA (l'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica) per impedire al governo di Teheran di proseguire negli esperimenti atomici. A partire dagli anni '90, dopo il disfacimento dell'Unione Sovietica, sia la Federazione Russa che la Cina fornirono expertise e manodopera all'Iran per l'arricchimento dell'uranio. Negli della amministrazione Bush, i rapporti tra Washington e Teheran divennero sempre più complessi, soprattutto dopo l'elezione di Mahmoud Ahmadinejad che, in diverse occasioni ha dichiarato non aver nessuna intenzione di sospendere il programma nucleare. A partire da dicembre 2006, proprio sotto la spinta di Washington, l'ONU impose una serie di sanzioni economiche nei confronti dell'Iran, se non avesse sospeso il proprio programma nucleare.