È difficile resistere alla cultura giapponese, quanto meno non essere incuriositi da una società all'apparenza contraddittoria e complessa, fatta di regole rigide e di codici, per certi versi, incomprensibili agli occhi di noi occidentali. Eppure molti prodotti Made in Japan sono parte integrante della cultura di tutto il mondo, soprattutto giovanile. Manga e anime, per esempio, sono colonne portanti nell'immaginario di milioni di adolescenti, e non solo.

I manga, cioè i fumetti giapponesi, riempiono librerie e edicole, e in tutto il mondo hanno milioni di fan e "proseliti". Una delle particolarità dei manga, oltre al tipo di disegno "pulito" e i volti dagli occhi grandi, è che questi vanno letti al contrario, cioè da quella che per noi è l'ultima pagina, e sia vignette che baloon seguono un ordine che va da destra verso sinistra.

Se possibile un impatto maggiore hanno avuto le anime (abbreviazione di animeshon, a sua volta traslitterazione dell'inglese animation), cioè i cartoni animati, che dagli anni '70 spopolano nelle televisioni di tutto il mondo. Per avere un'idea dell'importanza del fenomeno, basta ricordare che nel 2007, nel solo Giappone l'industria dei fumetti ha fatturato 406 miliardi di Yen (circa 3,6 miliardi di dollari).

I cartoni animati giapponesi, oltre ad aver caratterizzato l'infanzia di diverse generazioni, sono una forma d'intrattenimento popolare che, attraverso una serie di racconti di fantasia, ha trasmesso uno dei valori fondanti della tradizione nipponica: il bushi-do, la via del nobile guerriero, ovvero il codice d'onore dei samurai. Non solo nei contenuti (la fedeltà nei confronti del proprio signore, il tirocinio e l'esercizio, riassumibile nello shugyo – il percorso che ogni samurai deve fare per arrivare all'autocontrollo totale – e la presenza costante di un maestro, un senpai), ma anche nell'estetica, i robot giapponesi somigliano ai samurai: le armature, le maschere e gli elmetti sono una stilizzazione (e una modernizzazione) dei complicati e preziosi ornamenti usati dei guerrieri.

Altro fenomeno giapponese che "dilaga" in tutto il mondo è quello del cosplay, cioè vestirsi come il proprio eroe preferito (manga, anime o tokusatsu, cioè videogame). Il termine è una contrazione dell'inglese costume ("costume") e play ("interpretare/recitare"). Verso la seconda metà degli anni '90, gli adolescenti otaku (cioè i maniaci di manga e anime) erano soliti ritrovarsi per le strade del centro vestiti, appunto, come i loro personaggi preferiti. Nel corso degli anni, questo fenomeno è diventato sempre più vasto: sono nate manifestazione e locali devoti al cosplay, già nel 1998, infatti, il quartiere centrale Akihabara di Tokyo era pieno di locale e bar per cosplay.