Nonostante le prime elezioni pluraliste del 2006, definire l’Uganda una democrazia risulta ancora una forzatura. Dal 1986, anno della sua ascesa, Museveni ha istituito il sistema del partito unico terminato solo nel 2005 con un referendum costituzionale.

Per tutti gli anni ‘90, considerando l’Uganda ancora impreparata per sostenere un sistema politico multipartitico, Museveni negò la possibilità ad ogni partito d’opposizione la possibilità di presentare direttamente candidati per l’Assemblea Nazionale. I partiti d’opposizione potevano operare soltanto all’interno delle loro sedi dirigenziali, ma non potevano aprire filiali, né indurre manifestazioni.

Col referendum del 2005 questo “bizzarro” sistema politico venne demolito e nel febbraio dell’anno seguente si tennero indette le prime elezioni in cui Museveni dovette scontrarsi contro i candidati dell’opposizione. Tra i leader dell’opposizione spiccava Kizza Besigye, ex medico e alleato di Museveni, capo del Forum for Democratic Change (FDC). Per anni in esilio volontario in Sud Africa, il 26 ottobre 2005 Besigye tornò in patria, ma il 1 novembre dello stesso anno fu imprigionato con l’accusa di stupro e tradimento.

Besigye fu scagionato da ogni accusa nel marzo del 2006, ma, in un clima di tensione e continue rivolte, le elezioni riconfermarono Museveni per un mandato di altri 5 anni (59% per l’ex presidente e 37% per il capo dell’opposizione). Nonostante le riforme apportate da Museveni, gli anni di dittatura di Amin e le violenze della guerra civile ancora pesano sull’economia ugandese, in cui le importazioni superano notevolmente le esportazioni. L’80% della forza lavoro è impiegata nell’agricoltura, in particolare nella produzione di patate dolci, frumento e caffè.