Il 14 dicembre 2003, la quarta divisione di fanteria americana e i peshmerga (truppe paramilitari) curdi catturarono Saddam Hussein (l'"Asso di picche" del famigerato mazzo di carte con la faccia dei super ricercati del regime) nel villaggio di Al Dawr, vicino Tikrit, nel nord del paese. Rintanato in una casupola, assieme a due fedelissimi, con a disposizione 750 mila dollari in banconote di piccolo taglio, il Rais probabilmente fu tradito proprio da uno dei suoi familiari: sulla sua testa pendeva una taglia di 25milioni di dollari.

L'annuncio della cattura fu un vero show. Il famigerato nemico di Washington, che per anni aveva mostrato un'aria sicura, leader indiscusso del paese, il cui culto della personalità era diventato simbolo di una feroce dittatura, veniva mostrato alle televisioni di tutto il mondo sudicio, con la barba incolta e l'aria di chi si è rassegnato al proprio destino. Il giorno stesso, nell'annunciare alla nazione americana la presa di Saddam, Bush dichiarò: "La cattura di Saddam Hussein rappresenta una vittoria per quanti stanno dalla parte della libertà, ma non significa la fine delle violenze in Iraq".

Il 19 ottobre 2005 iniziò il processo di primo grado contro Saddam Hussein per crimini contro l'umanità. Le accuse si riferivano alla strage di Dujail, una cittadina a venti chilometri da Baghdad dove, dopo un fallito tentativo attentato allo stesso Saddam, la repressione del regime ordinò l'esecuzione sommaria di 148 dissidenti sciiti. Il 26 dicembre 2006, Saddam fu condannato a morte per impiccagione dalla Corte d'Appello. Quattro giorni dopo il 30 dicembre, alle 6 del mattino, ora irachena, fu eseguita l'esecuzione, le cui immagini, riprese da un telefonino, fecero il giro del mondo.

In Medio Oriente, i paesi tradizionalmente ostili al Rais (Iran e Kuwait) accolsero con favore la notizia, mentre gli altri paesi Sunniti (con l'eccezione della Libia) cercarono di rimanere neutrali, per non incitare la popolazione a manifestazioni troppo violente e, al tempo stesso, non attirare le ire degli Stati Uniti. Per il presidente Bush, la pena capitale rappresentò "Una pietra miliare sulla strada della democrazia", nonostante fosse stata duramente criticata dagli alleati Europei.

A tutto il mondo era chiaro che la morte del dittatore irachena non avrebbe coinciso con la fine della presenza statunitense nel paese arabo e, soprattutto, la pacificazione dell'Iraq post-Saddam sembrava essere la cosa più difficile da ottenere.

La situazione politica irachena, dopo la caduta del regime, sembra essere precipitata sempre più nel baratro della guerra civile. Il sistema politico introdotto da Saddam, in cui il partito Baath era l'unico riconosciuto, era laico e nazionalista, con vaghe tendenze socialiste. Saddam Hussein era arabo di confessione sunnita, che Iraq rappresentava la minoranza della popolazione (circa il 25%). In effetti, il controllo del regime si basava proprio sulle differenze etniche e le affiliazioni tribali, dove la maggioranza sciita (50% della popolazione) e la minoranza curda (20%) erano discriminate e tenuta lontane da ogni posizione di responsabilità.

La direzione politica e economica dell'Iraq era stata affidata per lo più agli arabi sunniti originari di Tikrit (il paese di Saddam). A cinque anni dalla caduta del regime, l'Iraq risulta ancora un puzzle, in cui opposte forze militari e politiche si contendono il potere. Il 31 gennaio 2005, si tenne un referendum che ratificò la costituzione introdotta il 15 ottobre 2005, in cui l'Iraq diventava una repubblica parlamentare e federale: l'etnia curda otteneva le regioni nord-est del Kurdistan, i sunniti la parte settentrionale e gli sciiti quella centro-meridionale.

I sunniti che per anni hanno avuto il controllato il paese sono stati esclusi dal potere. In risposta si sono organizzati in gruppi armati, spesso collegati ai movimenti islamici più integralisti e vicini al terrorismo. Come nel caso della cosiddetta al-Qaeda in Mesopotamia, rete terroristica guidata fino al 2006 da Abu Musab al-Zarqawi (ucciso dai bombardamenti americani), militante giordano, addestrato in Afghanistan e legato alla rete terroristica di Osama Bin Laden e dal numero due di al-Qaeda, l'egiziano, al-Zawahiri. Sin dall'inizio il nuovo governo, come la stessa Coalizione internazionale però, sembrarono non essere in grado di contrastare il dilagare della violenza che, dopo la caduta di Saddam, si è intensificata, soprattutto nella capitale.

Le notizie che giungono quotidianamente da Baghdad parlano di ripetuti attacchi suicidi sia nei confronti della popolazione irachena che del contingente internazionale, di rapimenti e decapitazioni di soldati, collaboratori occidentali e giornalisti. Vittime della violenza nel paese sono anche i civili iracheni. Dopo le bombe del 2003 (che colpirono erroneamente anche obiettivi civili), gli attentati suicidi degli ultimi anni hanno decimato la popolazione. Secondo le stime pubblicate sul sito Iraq Body Count, dall'inizio della guerra sono morti tra i 84.099 e i 91.762 civili (aggiornato al 30 maggio 2008).