Mustafa Kemal e il nazionalismo turco
La moderna Turchia nacque negli anni '20 del secolo scorso, in seguito al crollo dell'impero Ottomano. Il comandate Mustafa Kemal riuscì a tenere lontane le potenze europee (cosa che invece non accadde per Egitto e Palestina), vincendo la battaglia di Gallipoli contro l'esercito italiano che aveva occupato l'Anatolia.
Nel 1923 Kemal proclamò la nascita della Repubblica turca, di cui divenne il primo presidente. Sotto la guida di Kemal (il quale si assegnò nel 1934 il cognome – sul modello occidentale – Atatürk, "padre dei turchi"), la Turchia subì profonde trasformazioni che, ancora oggi, sono alla base della vita politica e sociale del paese.
La creazione del nuovo sistema politico coincise con l'abolizione del califfato. Kemal, infatti, occidentalizzò il paese. Il primo passo fu l'adozione dell'alfabeto latino, il calendario gregoriano e il sistema metrico decimale. A partire del 1928, laicizzò lo Stato, abolendo le scuole coraniche e la Sharia, riconobbe la parità dei sessi e istituì il suffragio universale.
Al fine di garantire la stabilità e la sicurezza dello Stato, istituì tuttavia un sistema autoritario fondato sul partito unico, il Partito Repubblicano del Popolo (Cumhuriyet Halk Partisi, CHP), negando la libertà di stampa, ma soprattutto perseguitò le minoranze etniche, in particolare quella greca e curda. La creazione dello stato turco, infatti, ruotò attorno al concetto di nazionalismo.
[Nell'immagine: Mustafa Kemal Atatürk]
Il genocidio armeno
In Turchia, il genocidio del popolo armeno iniziò prima della scoppio della Prima Guerra Mondiale, quando il paese (ancora parte dell'impero Ottomano) era retto dal governo dei Giovani Turchi, movimento politico salito al potere nel 1908.
Per paura che l'etnia armena, di fede cristiana, potesse allearsi con la Russia degli zar e invadere la Turchia, Ankara decise di sterminare tutti gli armeni presenti nella regione della Cilicia: solo nel 1909 ne furono massacrati 30.000.
Durante gli scontri del primo conflitto mondiale, i soldati armeni passarono al fronte nemico, entrando a far parte dell'esercito russo. La repressione turca non tardò ad arrivare: a partire dal 1915, vennero deportati 1.200.000 armeni, quelli che non furono massacrati dall'esercito turco, morirono di fame o malattie.
Il governo turco continua ancora oggi a rifiutare di riconoscere il genocidio armeno. Dall'altra parte del Vecchio Continente la risposta è netta: oltre a osteggiare l'ingresso turco nell'Unione Europea, la Francia punisce con il carcere la negazione del genocidio armeno. In Turchia, invece, il solo nominare in pubblico l'esistenza del genocidio è perseguibile con l'arresto e la reclusione fino a tre anni, in quanto gesto anti-patriottico.
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