Il 3 maggio 1960, il comandante delle truppe di terra, il generale Cemal Gürsel si dimise dopo che il governo rifiutò le sue richieste, tutte legate alla repressione dei movimenti politici islamici. Il 27 dello stesso mese, ufficiali e cadetti dei collegi militari di Istanbul e Ankara rovesciarono il governo. Senza spargimento di sangue, le forze armate salirono al potere, guidati proprio dal generale Gürsel.

I leader del Partito Democratico furono imprigionati, con l'accusa di corruzione e alto tradimento. Di 601 accusati, 464 furono ritenuti colpevoli, e molti ministri del precedente governo vennero condannati a morte. Dal colpo di stato, emerse una nuova costituzione, elaborata dalla Commissione di Unità Nazionale, in cui il presidente doveva essere eletto da entrambe i rami del Parlamento, il Senato e l'Assemblea Nazionale.

Subito dopo aver promulgato la nuova costituzione, la Commissione si sciolse e molti dei militari che avevano preso parte al colpo di stato abbandonarono i loro incarichi. Le elezioni del 1961 videro la vittoria di una nuova formazione politica, il Partito della Giustizia guidato dal generale Ragip Gümüspala.

A partire dal 1961 il paese fu attraversato da un'importante ripresa economica, grazie soprattutto allo sviluppo industriale, con la conseguente urbanizzazione e il fiorire di organizzazioni sindacali (come la Confederazione dei Sindacati dei Lavoratori Riformisti).

In quegli anni, inoltre, nacquero i maggiori partiti comunisti, fra tutti il Partito dei Lavoratori Turchi, alcuni dei quali predicavano la lotta armata, come il Partito Turco di Liberazione Armata. La violenza dei movimenti di sinistra trovò l'opposizione dei gruppi estremisti di destra, come il NAP (National Action Party, il Partito Nazionale d'Azione) che combinava Islam e nazionalismo turco.

Sul finire degli anni '60, la Turchia attraversò un periodo di crisi, dovuta soprattutto all'incapacità del governo di sedare le crescenti rivolte nella regione del Kurdistan. Nel 1971, infatti, il primo ministro Süleyman Demirel fu costretto a dare le dimissioni e per due anni, e il paese fu guidato da una coalizione governativa composta da politici e tecnocrati conservatori, sostenuta dall'apparato militare.

Nel 1973, la Turchia tornò alle urne, ma nessun partito riuscì ad ottenere una vittoria schiacciante. Gli anni tra il '73 e il 1980 furono caratterizzati da una forte instabilità politica e le violenze aumentarono in tutto il paese (il numero di morti negli scontri passò da 34 nel 1975 a 1.500 prima dell'intervento militare dell'80), complice anche l'inflazione e l'alto tasso di disoccupazione.

Nel settembre 1980, il comandante supremo delle forze armate, il generale Kenan Evren, guidò l'ennesimo colpo di stato, questa volta godendo del sostegno popolare. Evren creò un Concilio di Sicurezza Nazionale, il cui scopo, oltre a modificare la costituzione, era dare stabilità al paese.

Da una parte il timore che la Rivoluzione Islamica iraniana potesse avere ripercussioni anche in Turchia, dall'altra la guerriglia nelle regioni curde portarono l'establishment a dure operazioni militari, nonché all'estensione in tutto il paese della legge marziale.

Nel 1982, un referendum approvò la nuova costituzione, basata sul modello francese del 1958, in cui lo Stato era guidato da un presidente (eletto oggi sette anni) che nominava primo ministro e governo, e aveva il potere di sciogliere il parlamento, che tornava ad essere unicamerale. Per ridurre l'influenza dei partiti più piccoli, venne introdotta una soglia di sbarramento al 10%. Lo Stato, comunque, manteneva un controllo rigido dei media e delle organizzazioni sindacali.