Nel 2006, in una sempre più confusa situazione politica, diversi gruppi islamici cominciarono ad avanzare verso Mogadiscio, occupando buona parte dei territori meridionali eccetto Baidoa, dando vita ad una nuova regione autonoma chiamata l'Unione delle Corti Islamiche.

L’avanzata dei fondamentalisti divenne causa di nuove tensioni, costringendo molti somali alla fuga verso i campi profughi in Kenia. La situazione rischiò di valicare i confini somali e coinvolgere da un lato l'Etiopia che appoggiava il nascente governo centrale e l'Eritrea, dall’altro, accusata di appoggiare le Corti Islamiche.

Intanto, anche il governo di transizione fu duramente messo alla prova dall’avanzata islamica, poiché i suoi membri si divisero tra chi era favorevole ad un dialogo con le Corti e chi no. In una situazione così delicata, bastò poco per innescare nuovamente la tragica spirale di violenze. Il governo centrale, aiutato dalle milizie etiopi, attaccò le Corti islamiche costringendole ad abbandonare Mogadiscio.

Gli scontri continuarono fino ai primi mesi del 2007, soprattutto nelle regioni meridionali, quando l’amministrazione Bush, nell’ambito della famigerata lotta ad Al-Qaeda, lanciò attacchi missilistici contro le basi islamiche, accusate di appartenere alla rete terroristica internazionale. Il governo provvisorio riuscì ad ottenere il controllo di Mogadiscio, proclamando lo stato d’emergenza e la sospensione dell’utilizzo di armi private.

Molti signori della guerra si arresero e si unirono alle truppe governative per combattere le Corti Islamiche. Soltanto nel marzo del 2007 è giunta la missione di pace organizzata dall’Onu, anche se è riuscita a fare ancora poco per placare la situazione.