La storia politica del Sudan è stata caratterizzata da un susseguirsi di colpi di stato e guerre civili, scaturite dalla mancata integrazione tra il sud a prevalenza cristiano e animista e il nord musulmano.

A seguito delle differenze etniche e religiose tra nord e sud, ancor prima dell’indipendenza le milizie guidate dal leader meridionale Anyanya fecero irruzione nei territori settentrionali rivendicando la sovranità delle regioni meridionali.

Dal 1952 al 1972, gli scontri tra separatisti e truppe governative insanguinarono il paese, lasciandosi alle spalle 500,000 morti, di cui soltanto un quinto militari, e centinai di migliaia di rifugiati.

Il conflitto terminò con gli Accordi di Addis Abeba, in cui il sovrano etiope Selassie e il Concilio di Tutte le Chiese Africane mediarono per concedere autonomia regionale al Sud, creando istituzioni legislative e giuridiche indipendenti, mentre molti dei guerriglieri di Anyanya vennero assorbiti all’interno del corpo militare governativo.

Seguì un periodo di relativa tranquillità, fino al 1983, quando da Kahartoum il presidente Gaafar Muhammad an-Nimeiry impose in tutto il paese la Shari'a, il diritto islamico, incontrando la dura opposizione delle popolazioni meridionali.

Il 26 Aprile dello stesso anno Nimeiry dichiarò lo stato d’emergenza, istituendo speciali corti di giustizia in cui furono processati molti dei non-musulmani che vivevano al Nord. Al contempo, Nimeiry, sciogliendo il governo del Sud, violò gli accordi di Addis Abeba. Ma la risposta del Sud del paese non tardò ad arrivare.

Il colonnello cristiano John Garang, che come molti combattenti di Anyanya dopo la prima guerra civile era entrato a far parte dell’esercito nazionale, organizzò un gruppo di 3.000 soldati, battezzato Sudanese People's Liberation Army (SPLA). Il SPLA insorse contro il governo centrale, dando inizio alla seconda guerra civile sudanese.

L’esercito di Garang nacque come movimento marxista, aggiudicandosi così l’appoggio sovietico, ma anche quello di altri paesi africani quali Etiopia, Libia e Uganda. Al tempo stesso, Garang cercò sostegno anche ad occidente, presentando la guerra come tentativo islamico di imporre la propria religione sui popoli cristiani. Nonostante la deposizione di Nimeiry e la nascita di un governo democratico guidato dal partito Umma di Al Sadig Al Mahdi, Garang e il SPLA continuarono a combattere.

Nel 1989, con un colpo di stato il Fronte Nazionale Islamico (NIF, acronimo dell’inglese National Islamic Front) guidato da Omar al-Bashir e Hassan al-Turabi, rovesciò il governo di Al Mahdi, istaurando una dittatura militare e intensificando l’offensiva contro i ribelli del sud. Lo scontro divenne ancora più aspro dopo che Garang ebbe occupato la maggior parte delle zone meridionali, ribattezzate New Sudan. La guerra durò fino al 2003.

Secondo quanto riportato dal CIA Factbook, a causa degli scontri tra milizie governative, chiamate Popular Defence Forces (in arabo, al Difaa al Shaabi) e SPLA, delle conseguenti carestie e dell’assoluta mancanza di servizi sanitari, in 20 anni persero la vita più di 2 milioni di persone e in 4 milioni furono costretti a lasciare il paese. Solo nel 2005 a Nairobi, in Kenia, le due parti firmarono gli accordi di pace, conosciuti come Comprehensive Peace Agreement, attraverso i quali Al-Bashir e Garang si impegnavano a formare un governo di coalizione nazionale.

Il leader del SPLA diventava vice-presidente, ricoprendo una carica che nessun cristiano aveva mai ricoperto prima, con l’impegno di garantire al Sud Sudan un’autonomia di sei anni, prima di un referendum che avrebbe portato all’indipendenza. Nemmeno un mese dopo la ratifica degli accordi, il primo agosto 2005 l’elicottero su cui viaggiava John Garang si schiantò a suolo mentre tornava dalla tenuta del presidente ugandese Museveni. Nonostante le ipotesi di omicidio, il processo di pace continuò.