Alla morte del primo presidente keniota, Jomo Keniatta, salì al governo Daniel Arap Moi e vi restò fino al 2002. Moi, continuò la politica del suo predecessore, tanto che per buona parte degli anni '80 il Kanu fu l’unico partito legalmente riconosciuto.

Nel 1992, a seguito di rivolte interne e forti pressioni internazionali, furono indette le prime elezioni pluraliste, nelle quali vinse per l’ennesima volta Arap Moi. Solo nel 2002, con la vittoria di Mwai Kibaki, leader del National Rainbow Coalition – non più partito unico ma una coalizione di governo – si pose fine ai 40 anni di potere del Kanu.

Gli osservatori internazionali giudicarono legittima la vittoria di Kibaki, “benedicendo” così il processo democratico keniota. Gli scontri del 2008 per le strade di Nairobi e il massacro nella chiesa di Eldoret (da dicembre 2007 a febbraio 2008, sono morte più circa 1,500 persone e 600,000 hanno dovuto lasciare le loro case) hanno gettato una terribile ombra di sangue su una delle democrazie africane considerata tra le più solide.

A differenza dei paesi confinanti, infatti, il sistema democratico keniota aveva garantito al paese una stabilità, tale da premettere alla nazione di guidare il processo di pace tra Somalia e Sudan. Nelle elezioni del 27 dicembre del 2007, Kibaki aveva nuovamente ottenuto il mandato presidenziale, ma il suo principale oppositore, Raila Odinga, rifiutandosi di riconoscere la sconfitta, ha accusato il rivale di brogli.

L’aspro scontro politico è stato la scintilla che ha portato ai durissimi scontri tra i sostenitori dei due leader, lei cui origini risalgono formalmente al 2005, anno in cui Odinga dopo essere uscito dalla coalizione di governo, fondò il movimento d’opposizione l'Orange Democratic Movement.

Ma una tale ferocia ha radici ben più profonde e riflette antichissimi conflitti tribali mai sedati, riguardanti in particolar modo le etnie Kikuyu (di cui fa parte l’attuale presidente) e Luo (l’etnia a cui appartengono la maggior parte dei sostenitori di Odinga).

L'accordo è stato raggiunto il 28 febbraio 2008. Odinga e Kibaki, infatti, pressati dalla comunità internazionale, grazie soprattutto alla mediazione dell’ex segretario Onu, Kofi Annan, hanno siglato il National and Reconciliation Act, ponendo le basi per un futuro un governo di coalizione nazionale.

Il National and Reconciliation Act apporterà modifiche significative alla Costituzione, introducendo, per la prima volta nella storia politica del paese, la figura del Primo Ministro, ruolo che, secondo gli accordi, dovrebbe essere ricoperto da Odinga. Il Primo Ministro avrà l’autorità di coordinare e supervisionare l’operato dell’esecutivo, la sua carica potrà essere rimossa soltanto da un voto di sfiducia da parte dell’Assemblea Nazionale.

Non è la prima volta che Odinga e Kibaki si trovano nella stessa coalizione. Nel 2002 i due leader formarono una coalizione che durò soltanto tre anni. Secondo gli osservatori internazionali, l’intesa è un segnale positivo capace di ridare fiato al dialogo e porre fine alle violenze settarie. Come lo stesso Odinga ha dichiarato ai microfoni della BBC: “abbiamo deciso di anteporre gli interessi del paese ai nostri”.