Nel gennaio del 2005, le elezioni politiche furono vinte dall'ex sindaco di Teheran, il conservatore Mahmoud Ahmadinejad, che sconfisse l'ex premier Hashemi Rafsanjani. Ahmadinejad, in breve tempo, fece sentire subito la propria presenza: come prima cosa, vietò dalla televisione e dalla radio statale la musica considerata "indecente". In materia di politica economica la presidenza di Ahmadinejad incontrò non poche difficoltà. Nei primi anni, infatti, l'inflazione e l'alto tasso di disoccupazione non accennarono a diminuire. La risposta alle difficoltà economiche del paese fu aumentare gli investimenti nel programma nucleare.

L'arricchimento dell'uranio, secondo quando dichiarato dal governo di Teheran, infatti, doveva servire a scopi civili, per diversificare l'economia iraniana, e diminuire la dipendenza dal petrolio, anche se il paese rimane uno dei maggiori produttori di oro nero. Il programma nucleare iraniano, da anni ormai al centro delle tensioni tra Teheran e Washington, rese ancora più ostili le relazioni tra i due paesi, in particolare negli otto anni dell'amministrazione Bush. A più riprese l'ex presidente Usa accusò Teheran di sostenere le organizzazioni islamiche fondamentaliste, attive soprattutto in Palestina (come per esempio Hamas) e Libano (Hezballah), inserendo l'Iran nel famigerato "asse del male".

Le controverse posizioni di Ahmadinejad, soprattutto in merito al conflitto israelo-palestinese, causarono le ire non solo di Washington. Alla conferenza contro il razzismo di Ginevra (nominata Durban 2), organizzata nel marzo del 2009 dalle Nazioni Unite, il presidente iraniano accusò lo stato ebraico, pur senza mai nominarlo, di essere razzista e di perpetuare lo sterminio delle popolazioni palestinesi.

Per queste dichiarazioni, i delegati dell'Unione Europea abbandonarono l'aula, creando l'ennesima crepa nelle relazioni diplomatiche con il governo di Teheran. Il discorso di Ahmadinejad arrivò pochi giorni dopo il videomessaggio di Obama, inviato alle televisioni arabe, in cui il presidente americano, dopo 30 anni di gelo, apriva al dialogo con il governo di Teheran.

Un segnale di distensione arrivò con la liberazione della giornalista iraniano-americana Roxana Saberi, ex corrispondente per la CNN da Teheran, accusata nel gennaio del 2009 di spionaggio e condannata a 6 anni di reclusione. Ma, a seguito delle dure proteste da parte della comunità internazionale, il regime di Teheran dopo 4 mesi rilasciò la giornalista, con la motivazione, per certi versi storica, che "gli Stati Uniti non costituiscono una nazione ostile".