Nel luglio del 1956 Abdel Nasser, salito alla guida dell'Egitto con un colpo di stato, decretò la nazionalizzazione del canale di Suez, vietandone il passaggio alle navi israeliane.

La nazionalizzazione del canale, però, ebbe ripercussioni a livello internazionale ben più gravi: Gran Bretagna e Francia, che dalla fine del diciannovesimo secolo (cioè dalla caduta dell'Impero Ottomano), nonostante l'indipendenza dell'Egitto, avevano un forte controllo sugli scambi commerciali nello stretto, furono costrette a lasciare la regione.

Israele, quindi si rivelò essere un ottimo alleato: tre mesi dopo, infatti, lo stato ebraico invase la Striscia di Gaza e la penisola del Sinai avanzando verso il canale, mentre le nazioni europee iniziarono a bombardare l'Egitto, costringendolo a riaprire lo stretto.

La crisi nel canale di Suez ebbe ripercussioni internazionali ancora più grandi, nel momento in cui si inserì nelle tensioni tra il blocco comunista, che si schierò a favore dell'Egitto, e gli Stati Uniti in un primo momento schierati accanto alle nazioni europee.

Per l'inizio del 1957 tutte le truppe israeliane si erano ritirate dal Sinai. Il timore di un'improvvisa escalation delle operazioni militari, infatti, spinse gli USA a frenare l'avanzata bellica di Regno Unito e Francia.

Intanto, il ministro degli esteri canadese, Lester Pearson (vincitore per il Nobel per la pace, grazie alla sua mediazione nella crisi), ottenne l'invio di una forza militare di interposizione sotto l'egida dell'ONU (la prima dalla sua nascita), con lo scopo di "mantenere i confini in pace mentre si cercava un accordo politico".

Da un punto di vista politico, la crisi di Suez rappresentò punto nodale nella costruzione di un'asse USA-Israele, facendo degli Stati Uniti il più stretto alleato dello stato ebraico, riducendo in maniera drastica il ruolo delle nazioni europee, che all'epoca del colonialismo avevano esercitato un'enorme influenza nell'area.