Il conflitto che in questi giorni è scoppiato tra Israele e Hamas (la principale formazione politica palestinese di stampo islamico) è l'ultimo, in ordine di tempo, ad insanguinare l'area e a rendere sempre più utopistica una soluzione pacifica della questione israelo-palestinese. Ancora una volta la questione ruota attorno ai cosiddetti Territori Occupati, quelle zone della Palestina, quali Gerusalemme Est, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, che Israele invase nel 1967, durante la "guerra dei 6 giorni" e che, dal 2005, si è impegnata a abbandonare. Nel caso delle Striscia di Gaza, nonostante faccia parte de facto della Palestina, Israele ne controlla lo spazio aereo, i confini e dal 2002 ha costruito il famoso muro che separa i due stati. L'operazione lanciata da Isreale il 13 novembre nella Striscia di Gaza prende il nome di Pilastro della difesa.

La Striscia di Gaza, grande poco più che un fazzoletto di terra, dove vivono un milione e 500mila persone (una delle zone più sovrappopolate al mondo), confina a sud con l'Egitto, e si affaccia sul Mar Mediterraneo, ed è diventata nel corso del tempo la roccaforte di Hamas (Movimento della resistenza islamica), nato negli anni '70, come movimento politico radicale, opposto ad Al-Fatah, l'organizzazione fondata da Yasser Arafat. Infatti, le elezioni presidenziali del 2005 videro la vittoria di Abu Mazen, rappresentante di Al-Fatah, mentre nelle elezioni governative dell'anno dopo, ebbe la meglio Hamas. Sotto la pressione internazionale (in particolare del cosiddetto Quartetto, USA, Russia, ONU e UE), Hamas e Al-Fatah formarono un governo di coalizione nazionale. Ma il risultato, da un punto di vista politico, non è stato dei migliori. In molti, infatti, considerano le aggressioni delle milizie di Hamas contro lo stato di Israele un segnale molto chiaro, per prima cosa, nei confronti dell'Autorità Nazionale Palestinese guidata da Abu Mazen.

Abu Mazen mira ad un riconoscimento della Palestina, tanto che il prossimo 29 novembre presenterà al consiglio di sicurezza dell'ONU la richiesta formale (per ora, pare che abbia i numeri sufficienti per ottenerlo), mentre la volontà di Hamas è quella di screditare Al-Fatah e presentarsi come unica forza politica e militare della Palestina. Tenendo contro, tra l'altro, che il sostegno militare ad Hamas proviene dall'Iran. Al tempo stesso, da parte israeliana il principale interlocutore pare sia Washington. Durante la campagna elettorale americana, erano sempre più insistenti le voci di un conflitto israeliano contro Teheran (il quale potrebbe essere solo rimandato), e molti analisti politici consideravano tali notizie una forma di pressione da parte israeliana per mettere "in imbarazzo" l'amministrazione Obama (accusato dall'opposizione repubblicana di essere troppo "tiepido" nei confronti di Teheran).

A settembre di quest'anno, aveva fatto clamore il rifiuto da parte di Obama di ricevere a Washington il primo presidente israeliano, Benjamin Netanyahu (la portavoce di Obama aveva fatto sapere che il presidente non poteva essere a Washington per quella data, il 24 settembre 2012). La violenta risposta israeliana agli attacchi di Hamas potrebbe essere visti come una sorta di dimostrazione di forza, anche in luce alla recente rielezione di Obama. E come se non bastasse, il prossimo gennaio si vota anche in Israele. Per l'ennesima volta, nel conflitto israelo-palestinese entrano in gioco una miriade fattori (quelli fin qui elencati sono solo quelli più "eclatanti") che valicano i confini merdiorientali e si inseriscono in una complessa realtà geopolitica, dove gli interessi politici-economici sono tanti e dove si giocherà, volenti o nolenti, la credibilità del neoeletto presidente statunitense.

Per approfondire la posizione giuridica della Striscia di Gaza, e il conflitto che solo 3 anni fa ha insanguinato il confine con Israele vi consigliamo la tesi Eugenio Carli: