Augusto Pinochet prese il potere l'11 settembre 1973 con un colpo di stato ai danni del presidnete Salvador Allende (di cui era Ministro degli interni). Con il sostegno degli apparati militari, in poche ore i golpisti riuscirono a conquistare il palazzo presidenziale della Moneda, dove trovarono Allende già morto: per non cadere nelle mani dei militari si era tolto la vita con una pistola (pare fosse un regalo di Fidel Castro).

La politica di Allende era di chiara ispirazione marxista, la cosiddetta "via cilena al socialismo", realizzata attraverso la riforma agraria, la nazionalizzazione delle banche e l'esproprio dei capitali stranieri dall'industria del rame (la principale risorsa del paese). Per questo, oltre al sostegno degli Stati Uniti (impegnati nella lotta contro il comunismo), Pinochet e i suoi potevano contare su una classe politica, la ricca borghesia, che sotto Allende aveva perso molti privilegi.

Appena insediatosi (anche se la nomina formale a "Capo supremo della Nazione" arrivò solo il 27 giugno 1974, e quello di presidente il 17 dicembre dello stesso anno) Pinochet mise al bando tutti i partiti che avevano appoggiato Allende, compresa l'ala progressista della Democrazia Cristiana, imprigionò e torturò centinaia di persone, attivisti politici o semplici simpatizzanti di sinistra. Tra questi, anche la futura presidentessa, Michelle Bachelet, figlia del Generale Alberto Bachelet (morto un anno dopo il golpe per le torture subite in carcere).

Nei 17 anni di potere, Pinochet fu tra i più sanguinari dittatori dell'America latina: si stima che i cileni morti o scomparsi (desaparecidos) in quegli anni fossero 3 mila, mentre i dissidenti imprigionati furono circa 30.000. Tra il 30 settembre e il 22 ottobre 1973, gli squadroni della morte (Caravana de la Muerte) uccisero 97 detenuti, la maggior parte degli oppositori furono portati a Villa Grimaldi, la prigione dove vennero rinchiusi tra il '74 e il '78 più di 5mila persone e dove ne "scomparvero" circa 240.

La repressione valicò anche i confini del paese: nel 1974 venne ucciso da un'autobomba insieme alla moglie il Generale Prats (il predecessore di Pinochet al comando delle forze armate), in esilio in Argentina. Nel 1976 a Washington fu fatto saltare in aria un altro dissidente cileno, Orlando Letelier, anche lui in esilio. Una bomba posta sotto il sedile della macchina in cui viaggiava uccise lui e la sua collega dell'Institute for Policy Studies, Ronni Karpen Moffitt.

Nelle indagini successive emerse che l'attentato era stato ordito da un certo Michael Townley, agente segreto statunitense assoldato dalla DINA (Dirección Nacional de Inteligencia) i servizi segreti di Pinochet, anche se quest'ultimo non fu mai accusato di essere il reale mandante. Nel 1992, durante un'indagine in una stazione di polizia di Asunción, il giudice paraguaiano José Augustín Fernández scoprì archivi dettagliati che descrivevano la sorte di migliaia di sudamericani segretamente rapiti, torturati ed assassinati tra gli anni settanta e ottanta dalle forze armate e dai servizi segreti di Cile, Argentina, Uruguay, Paraguay, Bolivia e Brasile.

Si trattava dell'Operazione Condor, lanciata nel 1974 dagli Stati Uniti per impedire a qualsiasi formazione militare di ispirazione comunista e marxista di rovesciare i governi "amici" di Washington. Tra le vittime "illustri" anche l'ex presidente boliviano Juan José Torres, assassinato a Buenos Aires nel 1976 e l'ufficiale delle Nazioni Unite Carmelo Soria, avvenuto nello stesso anno a Santiago (Soria aveva doppia cittadinanza spagnola e cilena e, grazie all'immunità diplomatica, offriva rifugio agli oppositori del regime).

A dare supporto alla repressione dei dissidenti contribuirono anche organizzazioni terroristiche di estrema destra, come nel caso del fallito attentato a Roma contro Bernardo Leighton (uno dei maggiori esponenti della DC cilena) ad opera di Stefano Delle Chiaie, appartenente al gruppo neofascista italiano Ordine Nuovo. Nel 1996, sotto la presidenza di Bill Clinton, vennero declassati e resi pubblici molti dei documenti CIA in cui si faceva riferimento ai piani di Washington per impedire l'elezione di Allende (l'operazione conosciuta come Track I), e per sostenere il colpo di stato di Pinochet (Track II o Project FUBELT).

Anche se non è mai stata dimostrata la diretta partecipazione del presidente Richard Nixon, l'appoggio statunitense al golpe di Pinochet risulta evidente. Uno dei nomi che più spesso compare nelle carte della CIA è quello del segretario di stato Henry Kissinger (accusato nel 2001 di aver ordinato l'omicidio del Generale Schneider - stretto collaboratore di Allende - anche se non è mai comparso in tribunale).

In una conversazione con il presidente Nixon, il 16 settembre 1973 Kissinger ammetteva: "We didn't do it. I mean we helped them. [...] created the conditions as great as possible" (Non l'abbiamo fatto noi. Intendo dire che li abbiamo aiutati [...] abbiamo creato le migliori condizioni possibili"). Del resto, la presidenza Nixon verrà ricordata per l'uso spregiudicato dei servizi segreti, come nel caso dello scandalo Watergate.

Il 16 ottobre 1998, il giudice spagnolo Baltasar Garzón emise un mandato di cattura internazionale nei confronti di Augusto Pinochet che al momento si trovava a Londra per problemi di salute. Pinochet venne messo agli arresti domiciliari e il caso rimbalzò su tutti i media internazionali. Garzón da anni indagava sull'omicidio di Carmelo Soria.

Il governo cileno, ancora alle perse con la difficile fase di transizione (e forse per paura di sommosse) negò alla Spagna l'estradizione. Intanto, per 16 mesi, i senatori inglesi discussero se concedere o meno l'immunità all'ex dittatore. Le accuse di Garzón riguardavano crimini che non erano stati commessi sul suolo britannico, ma i capi d'imputazione erano genocidio, terrorismo e tortura, (per questo intesi come crimini contro l'umanità). L'11 marzo 2000, il ministro della giustizia inglese, il laburista Jack Straw, decise di concedere l'immunità e di permettere a Pinochet di tornare in patria, a causa delle sue cattive condizioni di salute.

All'aeroporto di Santiago, Pinochet fu accolto da un gruppo di sostenitori come un eroe. Nonostante le accuse e le prove evidenti dei crimini commessi dal regime, in patria esisteva ancora una fetta della popolazione che lo idolatrava. Di fatti, dopo il suo ritorno, il parlamento approvò una legge (111 a favore e 29 contro) per istituire la carica di "ex-presidente", il che gli avrebbe garantito l'immunità totale. Nonostante ciò, nel 2002 la Corte Suprema accolse la richiesta del magistrato Juan Guzmán di processare Pinochet per le 79 vittime dei Caravana de la Muerte. In una tale situazione, anche il Parlamento si vide costretto a rimuovere l'immunità all'ex generale, mentre altre accuse pendevano sulla sua testa (come l'omicidio di Prats).

Augusto Pinochet morì il 10 dicembre 2006, all'età di 91 anni, senza trascorrere nemmeno un giorno in un'aula di tribunale a causa delle sue cattive condizioni di salute (i suoi legali sostenevano che fosse affetto da demenza senile). Il giorno della sua morte, le strade di Santiago si riempirono di persone: chi festeggiava e chi rendeva onore al dittatore, e la polizia dovette fermare 53 persone per gli scontri che ne conseguirono. Michelle Bachelet negò le esequie di stato e le onorificenze dovute ad un ex presidente, ma concesse i funerali militari: in sessantamila andarono a rendere omaggio alla salma prima che venisse cremato (probabilmente la cremazione fu scelta per evitare atti vandalici, come era successo a Perón in Argentina).

In un bellissimo articolo su Michelle Bachelet, pubblicato dal New York Times Magazine, David Reiff paragona il Cile post-Pinochet al Sudafrica dopo la fine dell'apartheid. In una nazione come il Cile, però, era molto più difficile realizzare l'opera di riconciliazione che avevano portato avanti figure come Nelson Mandela e il reverendo Desmond Tutu. Una volta terminata l'apartheid, in Sudafrica era chiaro chi fossero i "vincitori" e chi fossero i "vinti" (nel 1994 l'African Nationan Congresseva aveva stravinto le elezioni, operando un ricambio totale nella classe politica del paese), in Cile l'ombra di Pinochet e la sua influenza (la questione dell'estradizione dimostra come lo fosse anche a livello internazionale) impedivano una piena realizzazione del processo di riconciliazione tra chi l'aveva sostenuto e chi ancora piangeva i propri cari morti o scomparsi. Nonostante l'elezione di Patricio Aylwin, nei primi anni '90 Pinochet mantenne la carica di Capo delle Forze Armate, e la sua influenza politica (anche se non più esplicitata) durò a lungo. Per questo motivo negli anni '90, lo scrittore Luis Sepúlveda (ex guardia del corpo di Allende) definì quella cilena una "democrazia controllata". (Per approfondire, consigliamo "Il generale e il giudice" di Sepúlveda, collezione di articoli del famoso scrittore, apparsi su vari quotidiani tra il 1998 e il 2003).

Ancora tutt'ora, a distanza di 5 anni dalla morte, l'eredità del Generale è controversa: se in molti vedono in lui il dittatore feroce che imprigionava e faceva sparire chiunque fosse anche solo sospettato di cospirare contro il regime, molti esaltano la sua figura come l'uomo che aveva impedito l'avanzata del comunismo. Resta da dire che durante gli anni di dittatura, una certa fascia della popolazione, ricca ed influente come la borghesia e gli industriali, prosperò proprio grazie alle scelte economiche e politiche del regime.