La fine del XIX secolo fu momento cruciale nella storia cinese, in cui l'industrializzazione raggiunse, anche se molto lentamente, il vasto paese asiatico, innescando un difficile processo di trasformazione economica e sociale. I primi sforzi industriali riguardarono il settore navale, grazie anche alla presenza occidentale nei maggiori porti cinesi.

Nel 1890 venne aperto nella città di Hanyang un importante arsenale militare, e nello stesso anno anche il settore tessile cominciò a beneficiare dell'innovazione tecnologica. Ma, nonostante i tentativi di modernizzare il paese, l'industria tardò a permeare l'intero settore produttivo cinese, soprattutto se paragonato a quello giapponese.

Secondo alcuni studiosi la modernizzazione fu frenata dal rigido controllo governativo imposto su i vari settori economici. Era lo stato, infatti, a gestire i monopoli e le concessioni per la creazione di nuove imprese, ragion per cui attorno alla loro nascita si crearono una serie di rapporti clientelari che ben poco avevano a che fare con la lungimiranza necessaria per una fase di innovazione economica e finanziaria. Nacquero in quel periodo anche i cosiddetti "distretti industriali", cioè aree dove vi era una grossa concentrazione di industrie, come quello di Shenzhen, nella regione del Guangdong, leggermente a nord di Hong Kong. Ma i distretti industriali nacquero soprattutto per mancanza di un tempestivo sviluppo della rete ferroviaria.

La politica economica cinese cambiò di segno solo dopo la guerra contro il Giappone per il controllo della Corea. A partire dai primi anni del XX il governo di Pechino creò un ministero dedicato all'agricoltura, industria e commercio, e fece pubblicare il primo Codice commerciale. Nacquero anche le prime banche cinesi moderne, come la Banca commerciale (1897), la Banca delle comunicazioni (1907), la Banca industriale del Zhejiang (1907) e la Banca di Cina (1913), mentre la rete ferroviaria raggiunse una lunghezza di ben 6.000 km.

In questi termini, il progresso cinese risultò notevole, ma ancora lontano da quello che raggiunsero Gran Bretagna e Giappone negli stessi anni. A livello mondiale, la rivoluzione industriale portò con sé un elemento che scosse dal basso anche le società cinese. La fine del XIX secolo, infatti, vide il lento sgretolarsi della superiorità economica e militare della Terra di Mezzo, in favore del ben più moderno ed efficiente Giappone.

Intanto, però, la Cina divenne sempre più terra di conquista da parte della nazioni occidentali, sia da un punto di vista territoriale che commerciale. Gli strati più poveri della popolazione cinese (che sul finire del XIX secolo ammontava già a 450 milioni) subirono le ripercussioni del processo di modernizzazione, stretti da un lato dalla sempre maggior pressione fiscale, dall'altro dallo sfruttamento produttivo.

La delicata fase di cambiamento che, in Europa e Stati Uniti avrebbe portato alla modernità, con tutte le sue contraddizioni, in Cina si trasformò in un irrigidimento nei confronti della dinastia imperiale e il diffondersi del nazionalismo. Il primo movimento nazionalista, avverso alla corona imperiale, all'epoca retta dalla famosa imperatrice Cixi, fu quello della Società del Pugilato Giusto e Armonioso (Yihequan), conosciuta in Europa come Boxer.

Il fallimento della rivolta del 1900 contro gli ambasciatori stranieri e le missioni cristiane, portò Pechino sul baratro. L'imperatrice si vide costretta ad accettare le dure condizioni imposte dalle nazioni vincitrici, lasciando libero accesso alla presenza straniera, che ormai gestiva tutti i maggiori scali commerciali del paese.