L'economia – Il XXIX giochi olimpici sono alle porte. A Pechino si intensificano i preparativi. A partire dalle 8:08 dell'8 agosto 2008 (i cinesi sono molto superstiziosi, e l'8 è il loro numero fortunato!), migliaia di atleti di tutto il mondo si sfideranno in 34 discipline sportive.

La macchina organizzativa si è messa in moto già da tempo per consentire un perfetto svolgimento dell'evento. Secondo fonti ufficiali, il budget a disposizione del comitato organizzativo oscillerebbe attorno ai 37 miliardi di dollari, una cifra a dir poco esorbitante.

Soprattutto se si considera che gli stanziamenti iniziali erano di 2 miliardi di dollari. Mentre l'incasso previsto per la sola vendita dei biglietti è di circa 3 milioni di dollari, il doppio rispetto ad Atene 2004.

Sembra che il governo cinese voglia fare le cose in grande. Un'occasione come quella dei giochi olimpici, infatti, è una vetrina importantissima, per attirare gli investimenti stranieri, per offrire al mondo un'immagine positiva del paese.


La questione dei diritti umani – Del resto, il regime di Pechino non ha mai brillato per democrazia e libertà. Anzi, la dura repressione dei qualsiasi dissenso politico, le torture contro i prigionieri e la mancanza di libertà di stampa fanno della Cina uno dei paesi dove il rispetto dei diritti umani sembra essere piuttosto un'utopia.

Eppure nel marzo 2008, gli Stati Uniti hanno depennato la Repubblica Popolare Cinese dalla black list dei paesi con maggiori violazioni dei diritti umani. Forse proprio in vista dei prossimi giochi olimpici.

D'altro canto, per ottenere l'assegnazione delle XXIX olimpiadi, Pechino aveva promesso di impegnarsi nella difesa dei diritti umani. Ma le notizie che giungono dalla Terra di Mezzo parlano di tutt'altro. Il mese scorso, le autorità cinesi hanno radiato dall'albo due importanti avvocati solo per aver difeso i tibetani imprigionati durante le rivolte anti-cinesi di marzo 2008.

La risposta di Stati Uniti e Unione Europea nei confronti delle violenze in Tibet, dove i militari cinesi hanno represso nel sangue l'ennesima richiesta di indipendenza, è stata blanda. Così come blanda è la pressione su Pechino per porre fine alla drammatica situazione in Darfur. La Cina è il maggior partner commerciale del Sudan, dal quale importa petrolio, nonché principale fornitore di armi al regime di Khartoum.

Fino a qualche tempo fa, i leader mondiali avevano minacciato di disertare la cerimonia di apertura dei giochi. Un gesto politico che avrebbe ricordato le Olimpiadi di Mosca del 1980, quando gli Stati Uniti boicottarono i giochi in risposta all'invasione sovietica dell'Afghanistan, o quelle di Los Angeles del 1984, quando altrettanto fecero URSS, Repubblica Democratica Tedesca e Cuba.

Ma negli ultimi giorni gli equilibri geopolitici sembrano essere tornati alla "normalità". Alle olimpiadi di Pechino, i big della politica mondiale non mancheranno. Ci sarà Bush, il quale ha affermato che le Olimpiadi sono un "evento sportivo, non politico". Ci sarà il presidente francese Sarkozy e i reali di Spagna. La presenza di Berlusconi è ancora a rischio, infatti, da Tokyo dove si è appena concluso il G8, il Presidente del Consiglio italiano ha fatto sapere che "ci sta pensando".

Mentre la posizione ufficiale dell'Unione Europea sembra andare in tutt'altra direzione. Il presidente del Parlamento di Bruxelles, Hans-Gert Poettering, ha fatto sapere che diserterà la cerimonia di apertura dei giochi. Lo scorso 10 aprile, infatti, l'Assemblea UE aveva approvato una risoluzione che prevedeva l'opzione di non partecipare alla cerimonia inaugurale, nel caso non ci fosse stata una ripresa del dialogo tra il Dalai Lama, massima autorità spirituale e politica del Tibet, e il regime di Pechino.


I divieti – Come se non bastasse, in un clima di tensione, alla consueta estromissione dalla manifestazione sportiva di ogni attività politica, in Cina si sono aggiunte una lunga serie di proibizioni.

Gli spettatori stranieri, infatti, non potranno portare in Cina nessun "materiale nocivo", compresi filmati, cd, foto o riviste e visitatori con malattie mentali o sessuali non potranno entrare nel paese. E, come era facile immaginare, saranno vietati comizi, manifestazioni o marce senza una precedente autorizzazione.

Come se non bastasse, molti dei volontari necessari all'Organizzazione dei Giochi dovranno lasciare il paese asiatico prima della cerimonia di inaugurazione, dato che le autorità cinesi hanno negato il rinnovo del visto agli studenti stranieri.


Gli appelli – In risposta alle rigide posizioni del regime, si stanno moltiplicando gli appelli affinché il governo di Pechino offra la sua mediazione per porre fine al conflitto in Darfur, e garantisca agli stessi cinesi diritti fondamentali come quello di espressione.

I primi di luglio, infatti, 130 atleti di tutto il mondo, capeggiati dal pattinatore americano, medaglia d'oro ai giochi di Torino 2006, Joey Cheek, si sono uniti nel firmare una petizione indirizzata ai leader mondiali per imporre una "tregua olimpica" in Darfur, almeno fino alla chiusura dei giochi. I vent'anni di guerra civile nel paese africano, con più di 300,000 morti e 2 milioni di rifugiati rappresentano la più grave crisi umanitaria degli ultimi anni.

Irene Khan, segretaria generale di Amnesty International, organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani, ha scritto al presidente cinese Hu Jintao una lettera in cui si chiede, tra l'altro, di "fornire informazioni su tutte le persone uccise o arrestate a seguito delle proteste di marzo in Tibet, in particolare sulle 116 persone ufficialmente ancora in stato di detenzione e assicurare che tutte le persone arrestate per il loro coinvolgimento pacifico nelle proteste siano rilasciate e tutte le altre siano sottoposte a un processo equo".

Intanto, dalle pagine del quotidiano spagnolo El País, il dissidente cinese Wang Dan, uno dei tanti studenti di Piazza Tienanmen, espatriato dalla Cina nel 2003, ha chiesto che, in occasione dei giochi, Pechino offra un'amnistia olimpica per tutti i prigionieri politici. Solo così, ha detto Wang, la Cina "potrà mostrarsi al mondo come una nazione rispettosa dei diritti dentro e fuori il suo territorio".

Milena Cannavacciuolo