Il 13 maggio 1947, in sede ONU fu istituito il Comitato UNSCOP (United Nations Special Committee on Palestine, Commissione Speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina). Undici paesi (Australia, Canada, Guatemala, India, Iran, Paesi Bassi, Perù, Svezia, Cecoslovacchia, Uruguay, Jugoslavia: nessuna di queste era tra le potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale) diedero vita ad un secondo piano per la ripartizione della Palestina.

La seconda ripartizione della Palestina garantiva ancora più territorio alla popolazione ebraica, incontrando così l'ennesimo rifiuto da parte araba. La riposta israeliana, però, fu netta: il 15 maggio 1948, Ben Gurion, all'epoca a capo dell'Agenzia Ebraica, proclamò a Tel Aviv la nascita dello stato ebraico, subito riconosciuto da Stati Uniti e Unione Sovietica.

Molte delle popolazioni non ebree che vivevano nelle aree israeliane furono costrette a lasciare le loro case, spaventati dalle violenze di gruppi sionisti e dell'esercito del nascente Stato. Cominciò, così, la diaspora palestinese.

Dal dicembre 1947 al gennaio 1949 il numero dei rifugiati palestinesi, infatti, passò dalle 520 mila unità a circa un milione. I ricchi mercanti e i capi villaggio si spostarono da città come Tel Aviv e Gerusalemme per riparare nei paesi confinanti, per lo più Egitto, Libano, Giordania. Più di un quinto dei palestinesi abbandonò il suo territorio, circa 100 mila andarono in Libano, 100 mila in Giordania, circa 90.000 in Siria, 10mila in Egitto e 4.000 in Iraq.

La classe media riparò verso città interamente arabe, in particolar modo Jaffa e Haifa, mentre i contadini (fellahin) finirono nei campi dei rifugiati delle Nazioni Unite. In Israele rimasero circa 150.000 arabi, un ottavo della popolazione araba dell'epoca. Le terre degli arabi furono confiscate e buona parte degli agricoltori finirono con diventare lavoratori sottopagati nelle fabbriche israeliane.

Come cittadini di Israele, in linea teorica, i palestinesi avevano garantiti gli stessi diritti civili e religiosi degli ebrei, in realtà, fino al 1966 vissero sotto una giurisdizione militare che imponeva severe restrizioni sulla libertà di movimento. Alcuni di questi riuscirono ad inserirsi all'interno della società israeliana, sia da un punto di vista economico che politico, partecipando attivamente alla vita israeliana.

In generale, però, i palestinesi che vivevano in territorio israeliano rimasero isolati rispetto a coloro i quali vivevano in Cisgiordania o nella striscia di Gaza, entrambe poste sotto il controllo egiziano fino al 1967. La vita, sociale ed economica, delle popolazioni arabe, infatti, si spostò verso la parte ovest del fiume Giordano, in quell'area che oggi è la Cisgiordania (in inglese, West Bank), dove cercarono rifugio circa 300.000 parsone. Mentre nell'attuale striscia di Gaza si riversarono dalle 160 mila alle 190 persone, rendendo quel fazzoletto di terra a ridosso del mar Mediterraneo (lunga 40 chilometri e larga solo 8) una delle aree più popolose al mondo. La presenza palestinese nei confinanti paesi mediorientali alterò l'equilibrio dell'intera regione, in particolar modo in Giordania e in Libano.

In Giordania, infatti, gli esuli palestinesi (che rappresentavano ben due terzi dell'intera popolazione giordana) ricevettero immediatamente la cittadinanza, causando il malcontento della abitanti locali. Negli anni '70, inoltre, ci furono durissimi scontri tra le milizie di re Hussein e i gruppi armati palestinesi, i quali minacciavano di impossessarsi del paese. In Libano, invece, la presenza palestinese portò ad una serie di conflitti che insanguinarono il sud del paese per buona parte degli anni '80. Intanto, a partire dal 1957, anno della crisi del Canale Suez, la presenza israeliana, supportata da Francia e Gran Bretagna, divenne sempre più massiccia, tanto da invadere la Striscia di Gaza e la penisola del Sinai, e allargare i propri confini.