Secondo molti storici, durante la Seconda Guerra Mondiale il Giappone fu responsabile di due episodi di estrema crudeltà: il massacro di Nanchino nel 1937 e i suicidi di massa di Okinawa. Nel 1937, durante la seconda guerra sino-giapponese, la capitale cinese (che all'epoca era Nanchino) venne invasa dalle truppe nipponiche che la occuparono per quasi un anno. Durante gli scontri morirono migliaia di persone, ma ai massacri si aggiunsero stupri e vessazioni di ogni genere nei confronti della popolazione. Solo nel 2007, gli Stati Uniti resero pubblici una serie di documenti attraverso i quali furono ricostruiti i fatti: le vittime erano più di 500mila. Nell'isola di Okinawa a sud del Giappone, invece, dove ci fu l'ultimo assalto americano prima del lancio della atomica, morirono quasi 240 mila persone di cui 140 mila civili. Alcuni di questi, per paura di cadere nelle mani degli americani, uccisero le proprie famiglie e si suicidarono per evitare la cattura. Negli ultimi anni, gli storici hanno contestato la versione governativa, sottolineando la responsabilità dell'esercito. Secondo quanto racconta Sumie Oshiro, una sopravvissuta al massacro, i soldati giapponesi diedero ai civili le armi. "Ci dissero che se fossimo state fatte prigioniere ci avrebbero stuprato e che dovevamo ucciderci prima", perciò le diedero una granata. L'ordigno non funzionò e la donna rimase in vita per poter raccontare la sua storia. Per approfondire: Il Corriere della Sera, Okinawa contro Tokio: ci costrinsero a ucciderci