Il mandato di Murayama fu scosso da due eventi a pochi mesi di distanza l'uno dall'altro. A gennaio il grande terremoto di Kobe, e a marzo del 1995 gli attentati alla metropolitana di Tokyo.

La mattina del 20 marzo, tra le 7:50 e le 8:11, diversi seguaci della setta religiosa Aum Shinrikyo entrarono nella metropolitana della capitale con dei sacchetti di plastica avvolti da giornali. Nei sacchetti c'era gas nervino. Gli attentatori abbandonarono i sacchetti nelle cinque fermate più affollate della vasta linea metropolitana, prima di scendere dai vagoni, però, forarono i sacchetti con la punta dei loro ombrelli.

Nel giro di pochi minuti, il gas si diffuse nelle vetture, causando problemi fisici ai passeggeri: alcuni ebbero un forte prurito e altri la perdita della vista. Alle 8:35 l'intera rete metropolitana di Tokyo venne evacuata e i passeggeri portati nei principali ospedali della capitale.

Ma solo verso le 10 di mattina, il professore universitario Nobuo Yanagisawa riconobbe i sintomi e dal Ministero della Sanità  partirono le richieste in tutto il paese di antidoti. Il bilancio finale degli attentati, però, fu pesante: 12 morti, di cui 8 solo nella linea Naka Meguro, e 6.000 intossicati. I soccorsi furono tempestivi, ma non abbastanza da evitare una lunga serie di polemiche.

Le indagini partirono immediatamente, prima dirigendosi verso i gruppi di estrema destra. Ma la segnalazione di una studentessa, che aveva visto un uomo con un sacchetto sospetto avvolto in un giornale, face sì che le indagini si concentrassero sulla setta dell'Aum Shinrikyo (la ragazza aveva riconosciuto in quell'uomo uno dei membri dell'associazione, già  ricercato per il coinvolgimento nell'omicidio di un'intera famiglia).

Dalle indagini emerse che diversi membri vicino all'Aum Shinrikyo avevano già  compiuto nel 1994 un attacco con gas nervino (impiegando in questo caso un camion-frigo) destinato alla casa di un giudice che indagava sulle loro attività . Nell'attacco avevano perso la vita 7 persone.

Dopo un lungo processo, il 27 febbraio 2004 Shoko Asahara, leader della setta religiosa, fu condannato a morte per impiccagione assieme ai dieci attentatori. Dal processo risultò che l'intenzione di Asahara era destabilizzare il paese con una serie di attentati, per poi prendere il potere con un colpo di stato. Nel corso del processo, infatti, emersero pericolosi coinvolgimenti fra la setta e reparti deviati dell'esercito e della polizia.

Più di ogni altra cosa, gli attentati mostrarono le falle nella proverbiale efficienza nipponica: i ritardi nei soccorsi e la difficoltà  nell'individuare tempestivamente la causa dell'intossicazione ebbero una fortissima ripercussione soprattutto a livello politico, per cui il Ministro degli Interni dovette chiedere scusa pubblicamente.