L'ascesa del partito Baath segnò l'inizio della carriera politica del giovane Saddam Hussein, all'epoca ventinovenne. Nel 1979, Saddam Hussein dopo aver messo da parte Al-Bakr e ucciso uccidere molti dei suoi più stretti collaboratori, si autoproclamò presidente dell'Iraq.

Nel giro di poco, il neopresidente divenne il simbolo della resistenza sunnita contro l'Iran sciita dell'Ayatollah Khomeini, che nello stesso anno aveva rovesciato la monarchia dello Scià. In questo modo, il potere di Saddam andò consolidandosi grazie anche all'appoggio occidentale che voleva l'Iraq nazione "cuscinetto" tra i paesi arabi integralisti e belligeranti e lo stato di Israele.

Il governo di Teheran rappresentava una terribile minaccia per Baghdad, in quanto anche in Iraq vi era una consistente presenza sciita, che però era stata esclusa dal potere. Nel 1980, sostenendo che le truppe iraniane stessero ordendo dei complotti contro di lui, Saddam Hussein dichiarò guerra allo stato confinante, lanciando un assalto militare alla provincia iraniana del Khuzestan, una delle zone col maggior numero di giacimenti petroliferi. La guerra tra Iran e Iraq durò 8 anni, con una serie di attacchi che raggiunsero entrambe le capitali.

Soltanto nel luglio del 1988, in seguito ad una serie di operazioni militari irachene che permisero a Saddam Hussein di riconquistare buona parte dei territori perduti negli anni passati, entrambe le parti annunciarono la fine delle ostilità e accettarono la risoluzione delle Nazioni Unite. La risoluzione imponeva ai due stati il ritiro nei rispettivi confini e l'osservazione del cessate il fuoco, che divenne effettivo dal mese di agosto dello stesso anno. Di fatto, non aveva vinto nessuna delle due nazioni, ma in otto anni avevano perso la vita circa un milione e mezzo di persone.