Tra i capi religiosi che si opponevano alle politiche dello Scià, si fece strada un certo Ruhollah Musawi Khomeini, insignito, per la sua battaglia politico-religiosa col titolo di Ayatollah (in arabo, "segni di Allah", cioè il titolo più elevato per il clero sciita).

Khomeini fu confinato, prima in Turchia, Iraq e poi in Francia. Nonostante l'esilio del proprio leader, il movimento degli ulema fece sempre più proseliti, soprattutto tra i disoccupati che avevano lasciato la campagna per cercar fortuna nelle grandi città, ritrovandosi, dopo il boom economico degli anni '60, ai margini della società.

A cominciare dal gennaio 1978, in risposta alle accuse mosse contro Khomeini sui quotidiani della capitale, migliaia di studenti islamici scesero per le strade di Teheran. La risposta dello Scià, da tempo malato di cancro, fu piuttosto confusa. In un primo momento le milizie regali repressero nel sangue le proteste, causando un'inevitabile recrudescenza della violenza e dello scontento contro la famiglia reale.

Ma, nel 1979, quando le sue condizioni di salute si aggravarono, lo Scià cercò riparo negli Stati Uniti per ricevere un trattamento medico adeguato, lasciando il paese nel caos. Nonostante il diniego da parte di Washington (per non prendere parte diretta nella difficile situazione politica iraniana), l'episodio ebbe un'eco molto pesante all'interno del movimento rivoluzionario iraniano, e con molta probabilità fu la scintilla che portò al rapimento dei 55 diplomatici americani. Ad un anno dalle prime insurrezioni, Mohammad Reza Pahlavi lasciò l'Iran, per riparare prima in Iraq e poi in Egitto, dove morì.

Intanto le proteste a Teheran continuarono, fino a quando il primo febbraio del 1979 Khomeini rientrò dal suo esilio. La presa del potere da parte dell'Ayatollah trasformò radicalmente il paese che divenne una teocrazia di stampo islamico sciita. I gruppi religiosi, inoltre, si sforzarono per eliminare ogni influenza occidentale all'interno della società, spesso utilizzando la violenza, e causando l'abbandono del paese da parte di molti intellettuali. Nel settembre del 1980, in seguito ad una disputa sui confini nella parte sud occidentale dell'Iran, il presidente iracheno Saddam Hussein lanciò un assalto militare alla provincia iraniana del Khuzestan, una delle zone col maggior numero di giacimenti petroliferi e popolata per lo più da etnie arabe.

La guerra proseguì per 8 anni, con una serie di attacchi che raggiunsero sia Teheran che Baghdad e la conseguente perdita di numerosi civili da ambo le parti. Soltanto nel luglio del 1988, in seguito ad una serie di operazioni militari irachene che permisero a Saddam Hussein di riconquistare buona parte dei territori perduti durante il conflitto, Khomeini annunciò la fine delle ostilità, accentando la risoluzione delle Nazioni Unite.

La risoluzione imponeva ai due stati il ritiro nei rispettivi confini e l'osservazione del cessate il fuoco, che divenne effettivo dal mese di agosto dello stesso anno. Dopo la fine delle ostilità, l'Iran si ritrovò in una profonda crisi economica, a seguito della quale si aprì un vasto dibattito circa la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con le nazioni occidentali e se introdurre delle riforme che avrebbero aperto in senso riformista la struttura sociale e politica del paese.