Nei primi anni '60, lo scenario mediorientale si andò modificando sempre più. Nel 1959 Yasser Arafat creò Al-Fatah, braccio armato dei gruppi palestinesi che rivendicavano la libertà della regione, mentre nel 1964 nacque l'OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), organo paramilitare e politico, riconosciuto nel 1974 dalla Lega Araba come unica autorità sulla Palestina.

Intanto, secondo le informazioni ottenute dal Mossad, i servizi segreti israeliani, Egitto, Siria e Giordania stavano ammassando truppe a ridosso dei propri confini. Pertanto nel 1967 Israele decise di passare ad un attacco preventivo.

Sotto il comando dei generali Yitzhak Rabin (Capo di Stato Maggiore) e Moshe Dayan (Ministro della Difesa), in soli sei giorni, a partire dal 5 giugno 1967, Israele sconfisse gli eserciti dei tre paesi arabi, conquistando la Cisgiordania e Gerusalemme Est (che erano sotto l'amministrazione giordana), la Penisola del Sinai, le Alture del Golan, la Striscia di Gaza, allargando in maniera sensibile i propri confini originari.

Nei Territori Occupati durante la guerra dei sei giorni, Israele rifiutò di applicare la Quarta Convenzione di Ginevra, cioè negando ai palestinesi dei Territori gli stessi diritti politici dei cittadini israeliani, né dei benefici accordati dalle leggi di Israele.

L'ONU intervenne con una risoluzione, la 242, che imponeva ad Israele il ritiro dai territori e alle nazioni arabe il riconoscimento dello stato ebraico. Ma, il netto rifiuto da parte arabe di riconoscere Israele, portò quest'ultima a rimanere nei Territori.